mercoledì 18 maggio 2005

Il filo nell'acqua_2

Una strada buia la obbligò a rallentare. Si fermò in mezzo. Voleva piangere, voleva piangere e insieme non voleva cedere. Non voleva piangere, non per lui. Il dolore era intenso. Prese a pugni il volante. Poi ingranò la prima e prese Viale Trastevere, assordata dalla radio, e salì fino al Gianicolo. Nello spiazzo della chiesa degli Spagnoli c’erano delle macchine parcheggiate, che le sembrarono vigilanti. Alina spense le luci. Un leggero chiarore si alzava sulla città, e la notte se ne andava ignorando la sua bellezza. “No”, pensò Alina, “le ha fatto onore. L’ha visitata, l’ha carezzata, l’ha fatta felice, un bacio di addio e poi il giorno miserrimo, inutile, fatto di attesa della stessa interminabile notte di amore”. Spense la radio ed il silenzio le piombò addosso come una coperta calda. Si carezzò il collo, si stiracchiò. “Devo calmarmi o impazzirò”. Sentiva il freddo della mattina che entrava nella macchina, si sedeva vicino a lei. Il giorno spiegava sul cielo dei colori indefinibili. Restò così, ad occhi chiusi, abbandonata, finché tutto intorno a lei non fu completamente pieno di luce, e allora scese dalla macchina e respirò abbracciata a se stessa, autoprotetta, l’aria del mattino. Non aveva più pensieri, e sapeva di essere come una pezza lavata, esattamente come una pezza da spolvero lavata, che aspetta nel suo cassetto la propria razione di polvere, di utilità. Riaccese la radio per sentire le voci dei notiziari, per avvicinarsi lentamente all’umanità che aveva abbandonato nell’ultimo momento della notte. Guidò assorta fino all’azienda, attardandosi soltanto un attimo per ricevere la sferzata del vento che spazzava il piazzale di parcheggio. Poi entrò e timbrò. Erano le 7:51.

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