lunedì 9 maggio 2005

Breathe / Stop breathing

Non ci sono tempi morti in città, in un normale giorno di zoo ripetuto. Guido con il naso all’insù, come un idiota, come un Neal Cassady, senza comunque permettere a nessuno di passarmi avanti; un’Argo implacabile che passa con il giallo mentre sbircia un balcone dove una ragazza fine, appoggiata alla ringhiera, incrocia e scioglie le gambe, fumando mentre parla con qualcuno all’interno. E non mi stanco mai di balconi, di finestre aperte al sole; finestre con tende che ondeggiano, con gatti che si affacciano, con il cielo rubato in migliaia di riflessi, chiuse nei loro segreti, affamate di sole.

Un ragazzo mi supera accelerando, con le spalle infossate. Dietro, una ragazza vestita di celeste, le braccia piene di braccialetti colorati, i capelli rossi tenuti da un nastro blu. Lui canta, vedo che canta perché inquadro nel mio sguardo il suo viso mobile nello specchietto rotondo. Il suo corpo giovane è disteso; il vento gli gonfia il bel giubbotto nero. Lei si tiene a lui con braccia delicate. Tra le facciate e il sole corre l’emozione di un bacio lungo e piatto, sempre più dorato. Si fermano al semaforo, lui alza il casco, risponde al cellulare. “No, stasera non posso, non ti arrabbiare. Devo consegnare un lavoro urgente”. Si guardano e ridono, complici. Lui vede che sono accanto e ho sentito tutto; mi fa l’occhietto, mentre riparte e riprende a cantare… Lei mi guarda seria. E io penso: mai mentire davanti ad una donna. E’ subito punta da un ago che scrive sulla pelle: lo farà anche con te… Poi ci sarà il silenzio, la più eloquente delle parole. Ma intanto è destino che i destini si intreccino, che le danze si danzino, che i corpi s’incontrino. Si perdono sul lungotevere, nella luce rosa e arancione del tramonto di primavera a Roma, mentre a me tocca rifermarmi.

E l’uomo senza una gamba che mi viene incontro, con quanti come me si saluta - lui cortigiano, ossequioso, un occhio calcolatore dei soldi che gli sto mettendo nella scodella di plastica, l’altro amaro, disilluso; io pietosa, allegra di ritrovarlo d’inverno come d’estate, la pelle tostata a tutte le intemperie - dopo che ha timbrato a bordo ponte e percorre i suoi 2-3 metri di territorio asfaltato vicino al semaforo? Mi porto dietro quello sguardo acquoso, incolore, che mi segue correndo sulle mura fino all’ex breccia di Porta Pia coperta di verde edera nei suoi bastioni, come una secchiata di pittura acrilica che mi sveglia, che mi scuote; ma anche la voce che cantava, che mentiva, che era felice nella primavera…

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