martedì 17 maggio 2005

Il filo nell'acqua_1

Le piaceva guidare di notte. La città si apriva come un viscere, silenziosa sotto le luci che sembravano più intense. Alina percorreva i viali deserti fermandosi ai semafori, incrociava pallidi sguardi di giovani all’interno di altre macchine gemelle nel loro strepitar di bassi, si attardava a guardare una donna che tornava a casa sfiorando i muri, oppure i lavoratori dei camion della spazzatura, i fiorai notturni. Percorreva la tangenziale, con la radio a tutto volume, puntava sull’autostrada verso Firenze. Poi, al primo svincolo, tornava, faceva una sosta a prendere cornetti alla pasticceria austriaca, vestita di nero fino al collo, gli occhi cerchiati dal disamore. Solo così, girando nella notte, si diceva, riusciva a dominare la sua sensazione di incompleto. Lui non l’aveva cercata, nulla era successo, di nuovo la settimana era finita, di nuovo i viali vuoti l’accoglievano. Sentiva salirle il bruciore del desiderio fino alle orecchie. Il desiderio era una brutta bestia, che l’attanagliava fino a farla soffocare. Insieme sentiva il dolore più intenso dello spirito, un lento parto interminabile che sapeva si sarebbe calmato per un po' dopo qualche notte di buon sonno. E temeva il momento in cui l’avrebbe rivisto, e temeva il momento in cui le sue sensazioni, cavalli purosangue che lei tratteneva con mano dura, si sarebbero disperse all’interno del suo corpo per bloccarla, per nasconderla, per rifugiarla in un coma profondo; e lei si sarebbe stesa lì dentro, per apparire perfetta, sorridente, inusualmente sobria, ironica, mentre gli bruciava il sangue di un desiderio folle di toccarlo, di sentirne il calore, di placcarlo contro un muro e non permettergli di parlare.

Rimuginava, mentre le strade le si prostravano dietro la macchina, su come ripartire da tanta distanza. Lui la negava, la ignorava, il bel labbro inferiore teso come una corda, distratto dagli impegni della giornata. Eppure, non era lui che aveva detto, sul portone, mentre lei tornava indietro a prendere un ombrello: “Quando ritorni?”. Il suo sorriso lento l’aveva fatta quasi svenire. Avrebbe voluto prenderlo per il braccio ed allontanarsi anche soltanto fino a una macchina, ad un incrocio.. Eppure era rimasta lì come bloccata da una manata. Sterzò bruscamente per girare ad un incrocio, e le ruote stridettero. Era arrabbiata a morte. “Ma come è possibile? Non riesco a difendermi, non riesco ad attaccare”.

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