venerdì 13 maggio 2005

Doppia cervicale, grazie



Quando giro per Roma alle volte mi sembra di stare dentro al plastico che si trova nel Museo della Civiltà Romana; ma altre volte, meno storiche e più quotidiane, scorgo dentro il primo un altro plastico, come se un gruppo di architetti fossero intervenuti nella notte, al modo della società segreta e benevola che descrisse Borges in un suo racconto, per creare una Roma parallela, figlia del post ventennio ma anche degli anni 60 e 70: case travertino e mattoni, ma sempre con qualche curva da qualche parte, nella cornice del portone o nelle finestre o anche nel giro dei balconi; oppure gigantesche tele rettangolari bianche, bucate da lunghi balconi evidenziati a tinte forti e persiane in contrasto di colori; o anche la fantasia di balconi spezzati, mossi, collocati come fiori di ostia sulla torta di facciate che arretrano. Certo, io non ho l'occhio rigoroso di Mr. Gualtiero per le case. E spesso mentre giro guardando in su come una deficiente vado a cozzare contro qualche ragazzetta con cagnolino mignon (il quale, scusate, sveglia in me degli istinti venatori) o contro signore ugualmente perso in lettura di giornale o, come oggi, anche fighetti distratti che fanno suonare le chiavi del Mercedes uscendo dal baretto dove mi sono rifugiata in cerca di un caffé. Ma le case stanno lì e nessuno le guarda, strepitosamente belle nei suoi colori tenui o pastello o combinazioni di marmi e piastrelle: sono per me manifesti di creatività e anche di delirante follia, le quinte della città.

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