venerdì 11 febbraio 2005

Galvanize

Scarto una caramella ed aspetto. La mattina è pesante, inquinata, l’aria freddissima mi costringe ad avvolgermi nella giacchetta a grosse trecce, un po’ logora, ma che comunque mi aiuta a sentirmi più protetta. Nel distributore di benzina, gli impiegati percorrono a passi lunghi lo spazio continuamente riempito ed svuotato di macchine assetate. Il meccanico del 116 sta finendo di mettere la batteria nuova, ha dei guanti con le dita tagliate e mantiene la bocca stretta; concentrato - sotto il mio sguardo, che ogni tanto si lancia come una fiammata di fretta verso il vano motore - avvita, ripulisce i morsetti.

- Ma, secondo lei, ho il tempo di andare a prendermi un caffè?
- Certo, signora, devo controllarla, ci metto ancora un po’; vada, se vuole.
- Gliene porto uno, a lei?
- Grazie, molto gentile, non c’è bisogno.


Dal vetro semiabbassato di una Smart argento che viene a parcheggiare vicino alla mia macchina escono le risate di due ragazzi, insieme ad un martellante elettropop. Hanno degli occhiali a nastro, specchiati, sui quali si riflettono le scie dei jet nel cielo sporco, orlato di un rosa che si scioglie lentamente in giallo. Mi chiedo se c’è un giorno in cui ci sono più scie nel cielo, in cui i topgun si danno appuntamento… Entrano nel bar davanti a me. Lui, che non ha smesso di gesticolare dentro al parka color ghiaccio dentro il quale scoppia e del quale alla fine apre la lampo con un gesto millimetrico, studiato, lancia le mani verso lei, finge schiaffi sui suoi capelli e non osa più giù. Lei, parka uguale ma più lungo, si piega come un ramoscello, ancora troppo brusca per lasciarsi diventare Dafne; il bar diventa momentaneo quadrilatero per questa breve capoeira. Centauri che si portano sottobraccio le copertine della moto come fosse la cappa del torero, impiegate agguerrite in coppia, un ragazzo che legge un messaggio sul cellulare - e io che guardo distratta i vassoi impolverati e rotti dei cornetti, gli orsetti sanvalentineschi, i biglietti della lotteria -, tutti in fila mentre una sola ragazza tenta di organizzare le priorità: prima i caffè e poi i cappuccini, per le sigarette e le ricariche c’è sempre tempo. Un agglomerato grigio cenere con schegge di vetri colorati fa da banco, e penso mentre lo guardo che non si butta niente che non possa essere ritrasformato e rivenduto, le schegge sono così piccole.. e forse quelle più grandi servono per i banchi dei bar e dei pub più trendy in Giappone…

- Lo vuole un po’ di cacao nel cappuccino?
- Sì, grazie.


Con quei occhi spauriti, la sciarpa di grossa maglia nera a proteggere il collo, il berretto un po’ piccolo, questa ragazza mi fa tenerezza. Vuole il mare anche lei, lo sento. Le tazzine usate si sono disposte come in un Morandi; aspettano inquietanti, appoggiate sul bianco, l’acqua bollente.

Le guance del meccanico, che sta per chiudere il cofano quando arrivo, sono leggermente più rosa: effetto di un buon lavoro finito. Il sole ha cominciato a spennellare di luce cruda i pilastri metallici. Firmo i moduli, chiudo le portiere, mi mangio tre confetti di gomma alla menta, parto a zigzag e mi lancio dietro ad un’Alfa che sembra galleggiare sull’asfalto; fino all’uscita del raccordo, come due ballerini, andiamo a destra ed a sinistra schivando macchine più lente. Gli ultimi cento metri. Parcheggio. Oggi niente gracchiare di cornacchie. Vince un gallo, che canta non so dove, ma non ci sono più i galli di una volta: sono le 9…

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