Una mattina a Firenze e ritorno
Quando li ho visti arrivare in tre, che sembravano due piloni ed una mezza ala, inguainati nei gilé di piumino e le felpe che li facevano ancora più grossi e larghi, ho pensato che si trattasse di tre giocatori di rugby. Guardavo loro le orecchie, le mani. E loro in cambio, impacciati dal mio giornale spalancato e dal genere intello-presuntuoso della compagna occasionale di viaggio, non spiccicavano parola; quello che ogni tanto dicevano rimaneva alle mie orecchie un misto incomprensibile di linguaggio bofonchiato. Io ero immessa nel giornale fino al bordo degli occhiali. Dopo un po’, a Orvieto più o meno, hanno comiciato a tirar fuori i cellulari, quelli che si aprono come una rosetta, belli acciaiati-colorati, e a chiamare Tizio e Caio per dir loro “sto andando a Bologna”, “sono sull’Eurostar”, ed altre frasi quasi monosillabiche. Ogni tanto, distratta, smetto di sottomettere le pagine del giornale a delle impossibili pieghe che evitano il contatto con il più grosso dei tre, per guardare fuori. L’immenso tappeto dei cereali, inframmezzato di vigne addormentate, luccica verde per chilometri e chilometri, sotto un sole angolato. Loro richiamano ad altri amici, chiedono dell’albergo, e a poco a poco sento delle parole chiaramente partenopee, capisco che sono muratori o manovali o boh ma comunque non giocatori. Delusione mignon, quanto avrei imparato. Il giornale m’è finito, sembra un tramezzino mezzo mangiato appoggiato sul piatto di un baretto che sta per chiudere. Lo offro loro, ma rifiutano con borbonico garbo. Siamo al bivio Rovezzano, dopo un po’ ecco Firenze che entra dentro al treno come un liquore lento lento, binari che aumentano e sventagliano scoprendo officine e depositi, veicoli gialli di servizio, una parata di motrici in livrea XMPR, pantografi zittiti, lontani dalla linea, semafori…. Il treno sembra sempre accelerare quando entra in Firenze, finalmente le banchine, mi metto i guanti e scendo nel colore ambarino di SantaMariaNovella, attraverso in mezzo alle ondate di gente e di voci dagli altoparlanti che mi chiamano a “Prato”, “Livorno”, “Torino”, “Venezia”. Arrivo al bar di fronte e mi ricordo: "(No, non dire cornetto, non qui…) Un capuccino scuro, e una brioche”. E poi a S. Lorenzo, sui lungarni, San Miniato....Mercato di San Lorenzo
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