Una coltre di neve sul cuore
E’ notte. Giro per via Principe Amedeo. Nello stesso momento in cui il semaforo diventa verde una luce, da una finestra del palazzo di fronte, si spegne. Scivolo sulla tangenziale. Un treno mi passa accanto, vedo i puntini di sospensione illuminati delle finestre in rapida succesione. Nulla mi può salvare. Sono a ripetere il copione: in mezzo alla città in una giornata di pioggia, con lo stesso Notturno a modo di epitaffio. Quando prendo la cassetta di Rubinstein dallo scaffale so di star vomitando, le lacrime vengono da sole senza sforzo; il fuori della città ridotto a luci e nero della notte, ma guidare mi calma, è catartico. VignaClara, le case dai lunghi balconi, carezzate dagli alberi. Le rampe di Viale Bruno Buozzi, così morbide. Il caos di Viale Giulio Cesare sotto la pioggia. Ovunque.Inutile negarlo. La sofferenza si presenta subito dall’inizio dietro un piatto allettante, chessòio, l’emotivo che associo al pane e salmone affumicato. Io la vedo benissimo dietro le promesse e le gioie e le risate. Ma bramo mangiare, prima una briciola, poi un boccone, poi siamo alla rosetta burro e salmone, puro Gargantua. Passa il tempo ed io ne sento sempre di più il sapore, da una parte la bocca si riempie, dall’altra mi si stringono le pareti dello stomaco, a poco a poco non riesco più a mangiare, non entra più una briciola, sento che non è più un pasto, è La Grande Bouffe, io mangio e mangio ancora e so che sta per finire tutto.
E nei momenti di lenta discesa mi tengo nelle mani; solo chi ha perduto conosce la consolazione, la conoscenza del dolore che è anche saggezza...
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