martedì 23 novembre 2004

L'uso delle virgole

Qualche macchina mi ha voluto fare o una fiancata o l’altra, stamattina, avevano voglia di stringermi, forse; un po’ più veloci e saremo stati una pallida copia della Squadra. Li guardavo con occhi assassini, ma capisco: è il nastro di nebbia che stringe la città. I venditori di giornali sulle strade annunciavano e concedevano le copie come altrettanti pezzi di pizza, appoggiati sul palmo come per non far colare il sugo; con mollezza. Persino Omar mi ha dovuto tirar fuori lui la macchina, per mia manifesta inadattezza alle manovre, di mattina presto. “Se carichi tutto avanti esci” e io stavo andando là, poi mi sono vista e ho detto: “ti prego, portala fuori tu”. Mi ha guardato un solo secondo e poi le spalle gli si sono arrese, ah ‘ste donne occidentali, e con un solo colpo di volante è uscito lo squalo. E’ anche la disfatta del caffè. Guardo il bicchiere marrone che sputa l’inumana macchinetta e dico, quale padrone di schiavi: “Non sei imprescindibile, non sei nemmeno necessario”. E non mi viene voglia di partire: in fondo agli occhi c’è una murata grigiobianca come una maglietta vecchia che lavi e rilavi e viene sempre uguale in barba alla pubblicità. Meglio continuare a guardare dal ponte della mia nave che staziona sulla Città Eterna, con il capitano in ferma perpetua e i marinai dispersi, ormai perduti per sempre, che girano inebetiti ubriacandosi di sensazioni. Meglio sentire gli occhi, gonfi dal sonno inquieto, nel loro vagare verso la finestra e allo schermo e poi di nuovo verso la finestra, a guardare la tavolozza degli alberi, il traffico dei passeri, delle nuvole e delle cornacchie. Meglio sentire il peso delle piccole pause, conservare queste virgole nelle tasche, per i giorni di affanno che stanno arrivando..

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