venerdì 22 ottobre 2004

Una busta spessa, con quattro francobolli

Ricevute queste tranches de vie della tua vita, e mi piace guardarle e insieme mi prende un po’ di paura, mi viene un senso di abbisso nel soddisfare così le mie curiosità, studiare gli sguardi od i gesti delle persone o le città o le strade, i colori dovuti al sole o alla nebbia. Sento quasi le parole, perché le fotografie fissano veramente il tempo e congelano anche la metà di un pensiero, l’appena di una smorfia, li forniscono sottovuoto a chi guarda, a volte anche un po’ sgranato e come timoroso; comunque è sempre un dono. Secondo me, dovrei pagare in qualche modo questa confidenza. Quando si ha mai avuto quel che si è tanto voluto, e finalmente per caso questo arriva, e quando quel che mi arriva fa parte di un’intensa fiducia, di un aprirsi che è anche un bel volare ed è forse anche un bel sentirsi accolto, allora sento un profondo imbarazzo, una gran timidezza frutto di anni di un’interna vita soldatesca. Anche la voce e le parole belle, le musiche regalate, le scritture lodanti, un check positivo in risposta alla muta domanda, tutto ciò che conforma la fiducia degli altri, mi sembrano vestiti che mi stanno troppo bene a pelle. Vorrei sentirmici troppo bene, sì, appiccicata a queste sensazioni, ma mi maltratto. Mi guardo dunque nello specchio del bagno, perché lui è il deposito delle mie mattine e delle mie insonnie, lui conserva l’immagine impietosa delle mie pochezze; pronta a scoprire non una bensì tutte le falle. Sono dunque matrigna, invidiosa di me.

Come sarà lasciarsi, dimenticare finalmente che si è nudi?

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