martedì 19 ottobre 2004

Ho raccontato un giorno

E’ tardi, è tardi. Il mio diario si è aperto oggi come una bocca che sta per dire qualcosa, sempre più grande. Io ero distratta, guardavo l’oprimente cielo che si riempiva di ovatta grigiosporca. L’aria ferma. Andavo di qua e da lì, a fare questo ed a vedere quello, una vetrina e la curva di un albero, ma sentivo che il groviglio lavorava sotto nella pancia. Mi scrivevo tante cose, frasi e pezzi di orazioni, sciolti avverbi in -mente, articoli neutri a poco prezzo; tutto mischiato. Leggevo e leggevo in ogni dettaglio della vita che percorrevo e sono finita dentro un oviesse per vedere se trovavo una borsa, ma era soltanto una scusa. Ecco, allora ha funzionato la magia dei supermercati, come quando vivevo a Barcellona e andavo al corteinglés quando ero giù di corda: piani e piani lindi e pinti e pieni di una cornucopia infinita di cose brillanti e colorate, spruzzate soltanto da qualche umana che voleva ricordarmi quello che avrei trovato fuori. Ma no, io rimanevo lì a percorrere gli scaffali per ore ed ore, toccavo, leggevo pezzi di libri, sentivo gli odori delle cose. E poi uscivo ed ero pulita dentro, centrifugata. Sono uscita ed il cielo si era aperto, soltanto due filacce di cotone di nuvola sui campanili chiusi, case delle campane. Un cielo azzurro, azzurro, mentre ovunque gli amici sparsi mi parlano di freddo e mal di gola, invidiosi, malconci.

Il mio diario aperto di nuovo, dopo, mi sembrava come un sopraciglio alzato, un’ironia di attesa. Odorava di carta da quaderno scolastico, intonso. La notte, fuori, aveva spento tutto. E io dissi, amorevole: “Domani”.

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