lunedì 18 ottobre 2004

Guidare senza meta

Saluto Omar, il guardiano notturno del garage, che esce dalla guardiola ed avanza verso il domino di macchine accuratamente parcheggiate a pochi millimetri le une dalle altre; si piazza alla mia destra, aspetta. Io sono incollata ad una Mercedes SLK. Entro, mi metto la cinta, attacco il frontalino e partono i Groove Armada, chiudo con il gomito la sicura delle porte, accendo il quadro e le anabbaglianti, giro la chiave ed esco; fuori raddrizzo lo specchietto sinistro mentre Omar fa lo stesso con il destro. Ok, posso partire. Autostrada non congestionata a quest’ora e posso accelerare. Piccole file, traffico a fisarmonica, scalo le marce e freno, riaccelero, sorpassi stretti, frecce e spostamenti veloci con frenata morbida, curve a gomito fatte in terza e lievemente frenando, sentendo non solo il corpo spostato dalla forza centrifuga, senza strafare, ma l’adrenalina. Non m’importano i camion, e le migliaia di altri come me che vanno al lavoro. Appena sotto le ruote sento il lieve fruscio di un buon asfalto ruvido stacco il pensiero del dopo e mi concentro su come il motore mi obbedisce, potrei dire quasi che anticipa le decisioni di guida. Penso a Jack Kerouac, le sue descrizioni dei viaggi in macchina. Filo come un fulmine con la linea bianca molto vicina alla mia ruota destra o sinistra. Taglio le curve che posso tagliare. Arrivata ai tornanti la mia macchina dimostra la sua vera vocazione indotta: il motore sforza, ma continua inmutabile a scivolare senza un movimento brusco. Finestrini aperti, l’aria turbina dentro. E quando finalmente mi fermo sul piazzale del supermercato, a 1300 metri di quota, respiando appieno l’aria pulita di un giorno lavorativo di ottobre (che lì dove sono arrivata significa che non c’è nessuno oltre i commercianti… saranno più di 20? Ne dubito) e il motore lo spengo, per un momento non riesco ad uscire, e vorrei continuare e continuare.

I paesaggi, le persone, il quotidiano, tutto corre accanto ai finestrini della mia vita. Da una striscia di apertura, nella porta sinistra, vicino agli occhi, alla bocca, entra quel che filtro, e mi accompagna nel viaggio. Il mio motore silenzioso mi conduce, mi porta, verso il tempo successivo, l’infinito.

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