Tornando a casa
Mille macchine doppiano la curva dell’A24 che immette sul rettilineo dal quale si vede la città che si avvicina e si abbassa, luccicante come una immensa raffineria oltre la quale sembra ci sia il mare: un tuffo sempre nel cuore quando ritorno a quest’ora, quando Roma si copre di gioielli per il viaggiatore e soltanto per lui. Una leggera mano rosa di tramonto carezza Tivoli ed i suoi olivi centenari, e punta verso la tangenziale nera, lucida come il pelo di un grande animale sporco. Noi abitanti conosciamo la città così com’è sotto il trucco. Attraverso S. Giovanni, accoccolata sotto il suo S.Francesco, passo sotto la Porta che un tempo portava ad una campagna con-le-pecore, poi sventrata, macellata ed atomizzata in case e quartieri. Subito il centro, e subito il battere incessante del cuore clochard, che riposa tra una rovina ed un gatto, che dribbla un motorino, che inciampa sul sampietrino sempre divelto, imperfetto. Il rumore, questo parlarsi addosso delle città…. a Roma non c’è mai il silenzio assoluto. Vedo i turisti che chinati sulle mappe come su palle di vetro pensano e decidono a dove andare a cena, e controllano le guide e le strade come periscopi, parlottando tra loro a voce alta, per farsi notare. I vigili urbani lasciano gli accessi alla Zona a Traffico Limitato, e si infilano nelle loro punto biancheblù il cui motore romba come un gattone, attaccati subito al cellulare, sornioni. Ritardatari del sabato puntano verso Ikea per una cena svedese preconfezionata: tutta la Tuscolana è un ribollire di macchine. Attempate signore sole viaggiano in autobus senza mai scendere, per passare il tempo. I ragazzini che hanno giocato tutto il pomeriggio con biciclette e monopattini si vanno allontanando dal giardino condominiale.Odore di gelato, di biscotto, di pizza appena sfornata….
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