mercoledì 13 ottobre 2004

Deve-Avere

Quando qualcuno mi ferisce, quando senza motivo mi viene dato uno schiaffo emotivo, soltanto perché quel giorno l’altro-a si sente stanco-arrabbiato-fallito-non amato, come una bambina mi tappo le orecchie per non sentire, come se questo gesto fosse una vera difesa e non soltanto un gesto, e un’oretta dopo (mai lì per lì… ecco perché sono una buona incassatrice) mi sale una schiuma lenta, spessa di rabbia, che mi invade prima la base del diaframma, poi sale fino alla gola e si allarga, vuole uscire. Qualche volta una lacrima, altre volte tante, altre volte schiaccio con la lingua sensazioni animali, non-razionali; qualche volta ancora parlo, miracolosamente mi esce una battuta che vorrebbe essere sdramatizzatrice. E in fondo, in fondo a tutto, l’originario senso dell’innocenza. Non ho capito, non so perché, non è giusto non capire; è da malvagi, non far capire.

Qualche volta arriva una richiesta di perdono, un maldestro tentativo di spiegare, la tardiva lucidità degli impetuosi; ma io, intanto, ho cercato per un tempo infinito la mia tavoletta di cioccolata al latte. Ho cercato, miope, nei vicoli della mia solitudine infantile, quella dolcezza consolatrice. Nessuno degli offensori ne sa nulla, nessuno di loro è stato mai in grado di offrire una manifestazione qualunque che realizzasse quella tavoletta, in cambio del dolore prodotto. In mano portano soltanto il vuoto, le infinite scale piranesiane. E impietoso si riempie il libro nero.

<< Home