martedì 23 giugno 2009

Sono viva abbastanza (cit.)

E' pericoloso, il cielo nero così, di un grigio canna di fucile, no, azzurrino, no, color vestito di venti estati fa; devo accostare con la macchina, cercare una inquadratura che non c'è, invidiare la possibilità degli addetti alle gru di salire fino a dove i miei occhi vorrebbero stare, farmi venire un microcolpo di emozione per quanto sembrano più intensi i colori degli alberi contro le spatolate stratificate in verticale, con in fondo filini di pioggia che sembrano innocui.

Il cielo così, sono io, questa inquietudine e mutabilità, la voglia di starsene sdraiati a bordo di qualcosa (un campetto di fiori, il mare) e sentire il tempo che passa, che ripulisce e risana, forma quella sensazione che da piccoli sentivamo "vacanza". Il cielo così ci rende silenziosi; vedo in giro le persone che guardano in su e interrogano inconsciamente le nuvole strascinate, torreggianti, spizzicate, puntinate, cumulate una sull'altra come i materassi della principessa. Persino quella donna che attraversa, con il cane tirante il guinzaglio, elegante come un disegno di Gruau, e che mi guarda mentre sta per accendersi una sigaretta che annuvolerà per un lungo secondo le labbra rosse.

Il cielo così è la città, la sento sospesa in attesa di una chiarezza meteorologica. Una urgenza la percorre, di accelerare i giorni, di riempirsi di parcheggi vuoti e di cicale. Passeggio tornando a casa sotto i ligustri scoppianti di profumo, e penso ad agosto, al cielo di porcellana blu sulle rovine e il sonnecchiare del fiume.

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