martedì 1 luglio 2008

E non c'era nemmeno il commesso veneziano

Signora mia, oggi me ne sono andata al mio supermercato preferito di vestiario omologato, dove per anni ho comprato ottimi capi capaci di resistere alla mia naturale tendenza a non curarmene - basta che sia fresco d'estate e caldo d'inverno, appena appena un pochino colorato che io sono biancuccia e i colori mi sparano subito al grigiore postnucleare - di quello che porto addosso, e l'ho percorso tutto da cima in fondo senza trovare un pantalone della mia venerabile misura che non avesse la vita bassa e cordoncini e metallini e zip, persino nella zona Classic. Oppressa, ho veleggiato verso la zona taglie comode, ma lì ancora non ci siamo grazieaddio, e dopo ho sfiorato la zona premaman - sa, a questo punto ero pronta a tutto - dove i pantaloni hanno un metro di elasticone pancia-protettivo del futuro pargolo. Ebbene no. Mi sono resa conto che, in un paese di anziani e mezze età, i negozi di vestiario hanno taglie fino alla 44, e pensavo che forse le due o tre 46 e 48 portate dal grossista e subito messe in fondo all'appendi-e-mescola-le-stampelle sono state subito accattate da sole due fortunate che subito dopo, ancora sotto shock, sono andate ad accendere un cero a qualche santo protettore.

"E mo'?", mi sono detta, tornandomene a casa mesta mesta e immaginandomi alla ricerca nelle montagnole di panni a 5 euro del mercato rionale o di Via Sannio. Oppure mi posso mettere quei vestitoni lunghi fino alla caviglia, fatti con due lenzuola incollate, naturalmente con un po' di braccialoni di tek o di collane di fuochi d'artificio, fanno tanto chic. Ma i pantaloni, quel capo che permette ogni movimento, quelli non potrò più comprarli a gruppi di cinque, sicura di essere un corpo accettato dal commercio tessile di classe media. E' un po' come bere la cicoria dopo aver gustato il caffé.

Ok. Nei prossimi giorni entrerò di diritto al Mas, come tutti gli altri stranieri. Poi vi racconto.

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