domenica 29 giugno 2008

Me & Ventilator MGee

Troppo caldo. E non che ci sia la famosa afa, no. E' per me un normale calore estivo, di quelli che normalmente affronto camminando sul maciapiede non in ombra. Ma siamo ormai abituati all'aria condizionata, ed io ho perso l'abitudine al sole, o del come il corpo può abituarsi alle normali temperature estive anche se non sta in riva al mare o sotto i pini di Villa Celimontana. Leggevo un Kapuscinsky trovato assurdamente in un supermercato e che, come tutti i suoi libri sull'Africa, è permeato di quel caldo intollerabile, alla maggior parte di noi sconosciuto, che spinge le persone a stare immobili gran parte del giorno, nascoste nell'ombra; che insegna loro cos'è l'attesa e l'immobilità più primordiali, cose che la maggior parte di noi abbiamo sommerso con riempitivi a volte buoni a volte cattivi. Ed eccetto nel tempo del lavoro, in cui sono ibernata, sento nelle ore passate a leggere sdraiata, o seduta in cucina con due Tassoni gelate, o alle 4 di notte mentre lotto per non soffocare e non dover prendere un altra pasticca di cortisone (e dunque aspettare altri quindici giorni prima di andare a donare il sangue), o mentre penso tra me e me affacciata alla finestra - mentre il giorno esce dai resti della notte - se odiare gli strilli delle rondini o amarli per quando sarà freddo e non ci saranno a svolazzare in cortile, sento che nemmeno io so aspettare, fermarmi più, che mi perdo degli attimi di immobilità necessari a non pensare, o non agire, comunque non - e lasciare che il tempo mi percorra e attraversi.

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