mercoledì 7 marzo 2007

Operator, make the music play in time

Un ambulatorio, alla fine, è un edificio come gli altri. Ma di pomeriggio sembra di più un edificio di uffici, un qualunque serbatoio di burocrazia: passeggio su e giù davanti al servizio ecografico, con le cartelline in mano cui i dati anagrafici mi sono scritta da sola, alla faccia di tutta la tecnologia e i codici a barre. Un ometto silenzioso vestito di blu scivola in silenzio insieme al suo carrello delle pulizie, come una coppia di pattinatori. Non guarda nessuna di noi tre donne spettinate, stanche da famiglie, uffici e quant'altro, che aspettiamo sulle panchine typical usl. Esce l'infermiera e per la prima volta si rende conto che un po' soffro e un po' rosico, perché come una cretina ho bevuto un intero litro d'acqua, quando basta mezzo litro; me lo sono scordata di nuovo. Lei mi guarda con un misto di compassione e disprezzo. E' da stamattina che sta in ospedale: prima il Pronto Soccorso, poi i silenziosi macchinari, le stanze asettiche, le pazienti che soffrono perché le donne sanno soffrire più, e meglio, e il parto, etc etc. Digrigno i denti. Il bagno è fin troppo vicino. Sto per piantare tutto. No, sì. Puoi affrontarlo, su, ce la puoi fare.

- Ma anche i maschietti devono bere un litro d'acqua prima di un'addominale? - chiedo all'ecografista, un ragazzotto dagli occhi dolci che scrive il referto sulla tastiera virtualmente zen.

- E sapesse quanto sono lamentosi... più delle donne - e gli occhi gli ridono molto più delle labbra.

Nell'ascensore entriamo in tre. Quando le porte si chiudono tiriamo il fiato, insieme. Sorrisi timidi, una di loro guarda una radiografia. E' finita, penso che pensiamo, finalmente possiamo uscire. Nell'atrio una delle addette alle casse gioca con un bambino, mentre il marito li guarda; forse sono venuti a prenderla troppo presto. Quella che mi ha dato le cartelline intonse ride la battuta di qualcuno mentre torna nel suo spazietto con l'ultimo caffé della giornata in mano.

Fuori è notte, e c'è un silenzio irreale quasi quanto la chopper fucsia e argento parcheggiata nel cortiletto interno. Lei se ne sta lì luccicante di lustrini e acciaio, ambigua e trionfante nel parcheggio vuoto: Live to ride, ride to live. E c'è un umanità in questi momenti e situazioni che fuori si trasforma in disumanità. Al semaforo mi affianca un Alfa Spider gialla il cui guidatore guarda pacioso un filmetto nel video incastrato nel cruscotto. Un ragazzo sul motorino si ferma a due metri del verde e non parte: sta leggendo un messaggino sul cellulare. Mezza mia Calcutta è chinata su se stessa e mezza mi passa davanti a tutta velocità. Ho voglia di rifugiarmi a casa...

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