martedì 27 febbraio 2007

I sail across the sea

Respiro forte, con le narici aperte, quella nota di profumo molle, una cosa come pelle di bambino, che inconsapevolmente tieni nel quotidiano, nascosta e ostentata insieme: la tieni per me, nel cavo della mano, all'angolo del collo. E' quacosa di antico, di un umano più personale del nome o del modo con cui ci si carezza: sta lì come un filo circolare, intorno.

E mentre la marcia gratta, penso a come tante volte ti ho guardato con quegli occhi che un giorno uccidevano - poi abbiamo imparato a tollerare, le donne - oppure a quei momenti in cui diventi piccolo come un insetto e aspetti, più o meno, che io ti schiacci: lo vuoi, lo chiedi a monosillabi secchi che sai mi fanno bollire come l'acqua infermabile della macchinetta del caffé. Io dentro e tu fuori dalla gabbia, io fuori e tu dentro, ancora.

Un treno passa nella nostra direzione, come un arabesco di linee sotto la tangenziale. Sopra, il sole scoppia, le finestre delle case si aprono, i pittospori degli attici sono stati lucidati dalle colf. Tutto mi entra negli occhi, così tanto tutto e te; mi brucia la tua mano sulla mia, sul volante. O portiere apritevi come nei film di Bond, penso, non posso sostenermi. Mentre ti giri per guardare qualcosa ti prende in pieno la luce, che aspetta in un sol fiotto fuori dalla galleria e t'investe per me, perché resti così, senza poter parlare - come a te piace, inebetita, muta.

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