sabato 17 febbraio 2007

Or just me



Mousse al cioccolato, il capriccio di un pomeriggio

Fuori dal Defrag c'è una naked grigio acciaio che nelle due volte che sono uscita mi ha inviato agli occhi raggi gelati, promesse di potenza e libertà on the road. Irresistibile. Come guardaporta non è male: ho guardato più tempo lei della porta. Dentro, il regno delle sneakers, del vestire decontracté-chic: i miei stivali pestano il vecchio pavimento di marmette ben lucidato fino al banco. Ma il barista, un biondino dai begli occhi ridenti e ironici, mi comunica la solita, inevitabile notizia: da qui si va fuori a dormire (oh, beh, forse, mah) e dunque non c'è il caffé. Apro Nova, un lenzuolo arancione dove scrivono blogger che rispetto.

Che viavai. Piccoli saluti, le foto di Damiano, vado in giro distratta giusto per trovare i limiti: dove finisce il portico bianco e comincia il corridoio, fino a dove si spingono gli spazi, dove sono io e dove stanno gli altri. Guardo come i tecnici formano del suono come fosse l'argilla di Khayyam: là dentro cuoce l'acqua che lambisce e bollisce e si ritira e torna dietro i Reverse, da là dentro fuoriescono chitarre che conoscono bene la storia degli 80, e una voce rotonda, che si alzerebbe sul tumulto di una massa che scappa nel panico, che pronuncierebbe un nome e farebbe fermare il tempo. Tutto mi arriva ogni tanto alle spalle e mi si spande dentro, come in tanti altri concerti: un'onda di febbre e di elettricità. Guardo piccoli gruppi lontani tenere le loro parole nelle mani a coppa; e una ragazza che snoda una sciarpa rossa su un maglione rosso a V, si sistema una collanina, si tocca le guance, si liscia i capelli neri - quei rituali delle donne, le rifiniture precise dei gesti creati per l'esterno - e produce un immagine da ventaglio cinese, una donna in un giardino, bianca di polvere di riso, che aspetta. Altre due donne, incastrate in un tempo non loro - una vestita di nero, l'altra vestita di bianco - si staccano dal bancone e vanno via, un po' prima di me.

All'ora di Bond c'è soltanto un cinese in via Capraia. E' seduto in mezzo alla panchina bianca della fermata, massiccio e quasi piatto; aspetta un notturno. E' un lavoratore come me, mi dico mentre passando armeggio con la radio; tutti e due torniamo a casa, verso chissà quali felicità e infelicità; tutti e due ci guardiamo per un secondo, ci leggiamo. Mi lascio dietro le luci della Nomentana, e tutto. Ho, abbiamo tutto davanti. Surrender your ego, be free, be free.

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