domenica 22 gennaio 2006

Tu crois l’éviter, il te tient


Terrazza dello Zodiaco

Una rete come di glutine mi resta negli occhi mentre lievito fuori dal sonno, mentre mi vesto al buio ed esco, molto presto, per andare al mio mercato di Prati a farmi tentare dalle spuntature, le copertine, il fegato, tutto quello che di solito troneggia sul banco del mio macellaio. Nemmeno il guardiano notturno del garage vuole uscire dalla sua stanzetta. Il mio squalo è gelato e il motore ringhia basso. Una luce irreale si beve la notte che scappa dalle facciate. Su tutto una nebbiolina rosa e lilla dalla quale i volumi e le presenze umane faticano ad uscire come da un incubo di garza.

La città sta stretta in quest’inverno. Invia sms gialli alla primavera ibernata. Diventa reale di colpo quando si spengono i lampioni: in meno di un secondo scattano i gabbiani che dormono sui camini. Vanno a corteggiare il fiume, a infastidire le anatre. I semafori sono smeraldi e rubini. Dentro al Muro Torto si vede tutto a giorno, non è più quell’infilarsi nel buio, nella nebbia lattiginosa di luci che stanno sul punto di morire… è troppo presto. I furgoncini bianchi stanno attaccati ai fianchi del mercato come pecore paurose. Un maialino dorme l'eterno sogno di mangiare una mela, solo in un bancone in allestimento. Odori di caffé, di fiori recisi. Proseguo verso lo Zodiaco, spinta da un desiderio indefinibile, seguendo le curve della Panoramica con la stessa lentezza di quando si fa all’essere amato una carezza lenta, saggia. Il bar è chiuso; ci sono solamente due tipi che girano parlando, ben imbacuccati. Uno ha scopa e paletta e fa finta di spazzare mentre invece parla seguendo l’altro. Tutti e due mi guardano mentre scatto due foto con le dita gelate, sfidano con me il freddo pungente che ritaglia contro un blu ancora notturno tutti i contorni, mentre la rugiada, che ha in questo momento la sua effimera apoteosi, evapora lentamente intorno ai joggers che scendono verso la Trionfale. La città si muove sotto, come una grande lingua che sta per formulare una parola. E’ quella morbidezza dolorosa di quanti si sono abbracciati mentre si sporgevano sulla città e volevano volare. E’ la voce degli amori che lì sono stati consegnati.

Nel vento ora vanno i miei baci mancati, gli occhi lucidi che ho avuto tante volte, la dolcezza che è di tutti quelli che amano. Un social networking di emozione e ricordi. I due guardano con me, là sotto. Cosa vedranno, loro? Il fiume si curva sotto i ponti e sorride, complice, fino al mare.

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