domenica 18 dicembre 2005

RainMan abita qui e ripara gli ombrelli


Vigne di rosso piceno, Ripatransone (AP)

Piove una pioggia fredda che sta anche dentro la voce rotta dei cani, sotto le foglie scure degli olivi, sopra i tini della cantina Colli Ripani colpiti da sfumature di piombo rubate alla profondità delle nuvole. Mi bagno un po’ mentre le guardo, sotto l’androne dello spaccio, mentre entrano ed escono persone che portano damigiane e panciute bottiglie da riempire ai distributori appuntati sulle botti, che conteggiano i litri come piccole pompe di benzina: bianco, rosato, rosso. Su tutto il tannino impera, un odore aspro, che richiama il salato.

Un dio cittadino decise l’inverno delle colline picene: grandi lastroni grigi che verdeggiano sotto il primo grano, l’acciaio della nebbia come una metafora di sogno dal quale emergono ciocche di giallo di qualche robinia, il cielo che ruba oscuri toni verdi dal mare là vicino, con lui fuso in un abbraccio pieno di vento. E le vigne, linee di pentagramma che piangono foglie rosse, mentre perdono lentamente la temperatura fino a rendere il sole che fu proprio in estate un gioiello in letargo dentro le radici. Grappoli duri rimasti sui rami spandono il proprio odore nella rugiada, e chiamano gli uccelli all’alba, nella polvere di fata che la nebbia sostiene, e che non è altro che frutto e seme atomizzato, anelante il mare.

Le vigne nere guardano il mare. No, mi correggo. Alcune non lo guardano. Il cielo scende e lo abbraccia assorbendone i colori; davanti all’orizzonte abolito le palme hawaiane applaudono e danzano rovesciate nelle tempeste d’inverno. Le vigne gelose guardano verso i roveri, scrigni rotondi che conservano la luce del sole, nelle sfumature del tramonto, dentro le foglie. E io cammino in mezzo ai solchi, riempendomi gli stivali di fango, sulle punte come un animale che non volesse interrompere tante conversazioni a livelli sensoriali sconosciuti agli umani. La terra mi s’incolla ai pantaloni e alle mani e riempie la mia macchina con i suoi profumi da generatrice. La pioggia entra nella pelle, perché sono anch’io terra che si strappa, terra che non vuole andare via….

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