La vertigine non è
Il mio dovere da signora l'ho fatto: sono andata a vedere una mostra minore, e sembravo proprio quella che perde tempo vedendo le mostre, che non ha altro da fare tra un caffé e un'oretta di Pilates. A ora di pranzo, l'unico mio tempo libero, tutte le finestre sono spalancate ad ingoiare l'ultimo sole, quest'estate che fu di San Martino e che hanno ereditato felicissimi altre centinaia di santi e martiri relegati nella memoria dei calendari: guido lenta dietro via Tagliamento, la sorellina piccola di via Po, in quei isolati splendidi di case bianche e crema o con le imposte celesti, cercando parcheggio in traverse ombrate da alberi non potati. E il sole che scende giù sull'asfalto come un fiume mi ricorda che un tempo io vivevo da queste parti, che qui ho imparato ad amare i cortili segreti di questa città, anche se qui il silenzio costa vero denaro e viene difeso appunto per questo. La mostra è piccola ma le foto-poster sono splendide, tutto il lavoro di Christo e Jeanne Claude è solare e sono luminosi anche i monumenti impacchettati, i tendoni, The Gates accennate porte che sottraggono agli occhi una visione e propongono in cambio il viaggio verso la scoperta di un paesaggio diverso del quotidiano. Velocemente percorro il sotterraneo le cui arcate massicce sostengono l'edificio: c'è per il mio piacere un inconfondibile odore di pittura ad olio e vernici che è cornice di un tempo della mia vita, resti materiali del lavoro e del tempo degli allievi della scuola. Esco finalmente, lo squalo lampeggia in doppia fila, calmo come il cavallo di una carrozzella il cui conducente si è portato i giapponesi a vedere da vicino qualche monumento.E mentre torno verso il centro - abbagliata come sempre dal movimento della gente, guardando le facciate e le finestre e le nuvole, sorpassata da camioncini, da motorini e da ragazzini che poi si scansano per farmi passare in una strada in discesa e che vedo dallo specchietto lanciare gli skate in aria con un colpo deciso della punta del piede - mi rendo conto che oggi mi hanno salutato almeno dieci persone, tutte in quel secondo e mezzo soddisfatte di me, perché avevo loro permesso di passare o di superare senza difficoltà un'asperità inevitabile del traffico, e che nessuno mi ha suonato in questo scivolare, e il sorriso mi si fa sempre più grande, canto seguendo la radio e mordicchio un ventaglietto della pasticceria Natalizi mentre attraverso il mio Esquilino guardando la gente come fece Neal Cassady nella notte americana, chiedendomi come lui cosa faranno e che penseranno di questo e di quello e di loro stessi, se saranno soddisfatti di loro stessi come io mi sto autorizzando adesso ad essere, soddisfatta di vivere in questo momento e basta.
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