lunedì 27 giugno 2005

Se Brad Mehldau avesse un blog



Cosa scriverebbe? Forse che le carezze non si danno per forza con le due mani, no. Alle volte basta una sola, mentre l’altra se ne sta in attesa, per esprimere la dolcezza o la passione, per percorrere una pelle, un volto. Bastano due mani ed un pianoforte, sotto le luci blu e rosse che rendono il palco un angoletto porpora e viola, come da luogo seminascosto in una discoteca. Alle volte l’una riposa mentre l’altra accenna, ricorda, si ferma a mezz’aria, si distrae su note altissime e richiama l’altra. Stanno parlando: il pianoforte è un immenso amplificatore. Esprimono un amore perduto o comunque in discussione, nel sottofondo rumoroso creato dalla mano sinistra. La conversazione procede nella notte, quando tutti sono usciti, nel silenzio rotto soltanto dai pochi passanti, fino alla mattina fresca, in cui le note dicono tutte “cielo”, mentre passa il camioncino che pulisce le strade: e poi continua in lunghe conversazioni sognanti, tirando fuori dalla tastiera trombe e sassofoni da orchestra swing, accordi secchi come pugnali e rimproveri. Un sostare tenace nella parte sinistra, un sostenersi in note basse, larghe e carezzose come velluti che chiudono alla curiosità dell’esterno le proprie visioni, le luminose frasi, il tentennare dei silenzi, il peso dell’emozione vissuta nella notte.

L’Auditorium non è strapieno, e fuori fa sempre caldo. A tratti, il mio ventaglio sottolinea una brezza rispettando il fraseggio. Ad ogni finale, il pubblico accorcia il silenzio teso che precede l’applauso e si butta torrenziale in una lode rumorosa, amorosa direi, giacché tutti siamo lì per lui, per farci sostenere da una musica che ci stava già scritta dentro, anche prima che lui nascesse; anche prima dei dinosauri noi pubblico abbiamo sentito quello che adesso ci fa rivivere. Lui è una figura concentrata che doma quasi immediatamente lo strumento e poi lo piega fino a trasformarlo in un cartone animato che si stira o si accorcia, che rimane sospeso, illuminato da mille colori quale fosse più una nave da crociera dei sentimenti, in pieno festival di fuochi d’artificio, che non un superbo Steinway solitario in mezzo al palco nero. E che rimane solo, pantera addormentata e sazia, quando il pianista se ne va, e ci dimentica mentre ci allontaniamo con le tasche piene di perle e gioielli e pensieri d’amore.

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