venerdì 29 aprile 2005

Una carezza lontana



Le pene d’amore vanno schiacciate e distrutte. Quelle che troppo durano, quelle senza risposte, quelle che alla fine sai che è inutile. Il disamore è una bestia potente, nel quotidiano si presenta olografico, inafferrabile alla ragione che tutto vuole ordinare, classificare, ridurre al segno uguale e alla conseguente soluzione. Queste erinni, con le loro teste di medusa, appaiono un giorno in forma di sospetto, agitano i tentacoli: sono i malintesi. Diventano sempre più vicine; guardano con me un cielo che volevo guardare con qualcun altro, mi iniettano dei sogni nei quali non trovo il freno per fermare la macchina della quale non domino il camminare veloce verso qualcosa che mi minaccia ai lati, davanti, dietro, di follia. Così senza pietà, senza ripensamenti, con il dolore di una chirurgia da campo di battaglia, ho amputato dal mio cuore che batte sempre più disumano, capace degli slanci più alti ma anche di fermarsi fino alla freddezza. E siedo intera di nuovo, come tante altre volte ancora che ho amato e amputato, dentro alla notte sorella, scrivendo subito, scrivendo come sotto un verdetto, sentendo come le parole scivolano dalle spalle come le squame della pelle vecchia. E non c’è risurrezione.

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