domenica 1 maggio 2005

Odor di brace

Se ne sono andati verso il fiume, lievemente seccati come aristocratici decaduti, i gabbiani; i colombi sono intontiti già di loro e adesso si trovano scacciati dapertutto e fanno piccoli voli di assestamento all’intero del territorio, sopraffatti. Come migliaia di ragazzette chiassose piombate sulla capitale dalla provincia, uniformate di nero, le rondini spaziano giorno e notte per le strade, commentando le mise delle cittadine stanziali, puntando a questo o quel maschietto, accappigliandosi per un pezzetto di legno, gridando, gridando sempre. L’inverno è finito! L’inverno è andato!

Nella mattina fresca di un umidità da vera rugiada, che richiama dentro il DNA verso i prati e l’aria aperta usciamo verso una qualunque villa capitalina, a caso. Scartata Villa Pamphili presa d’assalto da doppie file e da rondini umane che strillano e si accapigliano per un parcheggio, scivoliamo verso Villa Borghese in mezzo ad un traffico rintronato, primaverile, fatto di atomi in forma di motorini che m'insidiano e si avvicinano nelle mie traiettorie fino a quasi l’urto, producendo lo stesso un’energia compressa e irrazionale che ci sposta tutti e che mi permette in certe curve e chicane cittadine di far finta che sono a Vallelunga, con gran divertimento di passeggeri amici, sballottati nei sedili posteriori. Mangiare veloci, all'ombra degli alberi di Giuda che fanno piovere fiori fucsia che si ostinano sulla frittata e sull'inmancabile, profumato caffé del termos. E poi, sostare tra le margherite, gli occhi chiusi, il libro inutile aperto al sole che tutto domina.

No, non siamo stanchi. Brulica, il parco degli Acquedotti, di persone e braci e bambini, ma io ho occhi soltanto per quelle spighe sparse ovunque in enormi cuscini; non posso resistere senza acarezzarle mentre cammino distratta tra pini caduti e palloni e torsi nudi e la grande, romana gioia della scampagnata. Lontano, l'acquedotto si perde nella foschia; dietro, suona il claxon del trenino dei bambini. Il guidatore protesta con un ciclista altero, come fossero in mezzo all'Appia Nuova. Sul tratto di acquedotto che costeggia la zona di parco più popolata salgono, sostano o camminano gruppi di ragazze, equilibriste della vita. La mia mano sente la pelle leggera del vento tra le spighe. Vorrei, come sempre, fermarmi a toccare tutto, la terra, i papaveri, il mantello dei cani, tutto patinato d'oro nel tramonto. Un treno fischia, dietro gli archi corrosi. Soltanto un lieve chiudere gli occhi, un tempo di emozione che è soltanto mio; e da fuori mi chiamano, mi trascinano...

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