giovedì 16 dicembre 2004

Look at me

Io guardo le persone con intensità. Non che sia una grande fisionomista, non riuscirei a dire di che colore hanno i capelli o la forma delle loro mani. Ma provo ad affinare la percezione che porti a capire dai gesti uno stato d’animo. Questa mattina ho guardato quasi distrattamente un uomo asciutto sulla cinquantina, fermo al semaforo. L’ho guardato apprezzante, giacché indubbiamente aveva speso un bel po’ di tempo davanti allo specchio non soltanto per mettersi a posto i capelli etc, ma anche per riconoscersi ed introiettarsi come sé stesso e non come perdente o come nulla. E lui mi ha corrisposto con uno sguardo d’incredulità, e di paura quasi, come un bambino preso con il biscotto in mano. Certo, sono sensazioni che io gli ho deciso, potrebbe anche essere soltanto il fastidio di essere guardato forte da una donna, che alcuni si vivono come invasione. Eppure mi capita spesso, mentre il contrario è raro; qualche volta è successo, e mi sono sentita studiata dall’entomologo pronto con lo spillone in mano. Ho sorriso, pensando a me stessa che guardo così, e a come modulare per gli altri questa impressione di bellissimo/schifoso insetto osservato.

La città è piena di persone che davanti allo specchio, tutte le mattine, non si guardano, non si parlano, chiudono degli occhi di dentro. Io stessa non sempre alzo le braccia nel gesto del pugile pronto alla lotta, (un incoraggiamento nelle giornate in cui fuori ancora non se n’è andata la notte e non si sa se ci sarà la luce) oppure non mi dico “tu hai soltanto me” ma vedo una bambola alla quale pettino i lunghi capelli, cui tolgo a fatica le ragnatele della notte dagli occhi. Essere sconosciuti, altri a sé stessi, permette di buttarsi nel quotidiano senza mettersi in discussione, senza atterrarsi. Ed ecco che allo sguardo altrui siamo quasi completamente vuoti, è soltanto visibile una finestra “Inserire password”…

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