lunedì 13 settembre 2004

Disse Rossella

Il momento peggiore per le emozioni è la notte. Arrivo all’ora di andare a letto a leggere, con in sottofondo pensieri della giornata a raffica, e anche di quel che sta succedendo lì, in quel momento, rumore di televisioni, la sensazione di fresco e di fine dell’estate, insomma, tento di rappacificarmi con le varie me-stessa, spostare tutte quante le sensazioni disturbatorie dalla lettura e mandare tutto a Morfeo, ma questi giorni sono proprio di disintossicazione emotiva. Guardo il cellulare, muto come un pesce morto. Una conversazione tra la bambina e la domina.
“Mandagli un messaggio”
“Ma non ho niente da dire, non ne ho più voglia, scrivesse lui”
“Lui non te ne manda, avvia”
“Macché, poi non risponde, come se ce l’avesse spento o stesse investendo energia comunicativa con altri/e – gelosa -, ci resto male”
“Allora lascia stare, non puoi avere le risposte che cerchi, hai impostato così e abbozzi. Troppo vuoi. La realtà è altra”
“Ok, ma ci sto male lo stesso, le emozioni e la ragione non vanno per le stesse strade. La realtà è la mia”
“Allora scrivi, digli che lo pensi”
“Ma no, non ho niente da dire, non più le emozioni, visto che non risponde e non scrive. E poi sono stanca”
“Allora spegnilo il cellulare”
“Beh, questo si può fare”
Spengo. Con un senso di angoscia. Dieci minuti dopo lo riaccendo.
“Ma no, sei cocciuta, lo sai, non ci sarà niente. Non lo senti più l’istinto. Lo sai benissimo”
“E vabbé, lo spengo.”
And so on.
Va avanti così, con le sue variazioni, fino in mezzo a Céline che mi assorbe e mi tocca rileggermelo, pronta la matita e infastidita da queste mosche intorno all’attenzione, che vorrei tutta per lo scrittore, o piuttosto per il traduttore, che sotto sotto ha scritto sulle righe dello scrittore un suo libro da gemello. Dopo un po’ mi fermo, alzo gli occhi, m’incazzo forte, urlo dentro, lascio il libro, voglio dormire, ma niente.
Finalmente arriva in mio aiuto Rossella O’Hara: domani, domani è un altro giorno…
La notte rimane un brutto momento in cui piango tutta la mia infelicità con i modi aristocraticamente intellettuali che dà l’esperienza, la conoscenza di me stessa e la spietatezza del maratoneta. Passerà, mi dico; o evolverà, ma passerà.

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