sabato 6 ottobre 2007

Del non frequentare le strade principali



Villa Aldobrandini, una "panchina"

C'era una volta il Caffé Renault, con annesa radio in diretta, alla fine di Via Nazionale, qualche metro prima di quella chicane con cui si getta ai piedi dei gallonati vigili di di Piazza Venezia; e c'era una volta il Traforo scuro, in cui si passava verso il centro-centro con in bocca una mascherina virtuali o la mano, mentre gli autobus urbani ci assordavano. Adesso non più. Niente Caffé Renault tutto acciaio e neon; e il Traforo, nuovo lucido, sembra che anziché sbucare nelle stradine strette ai piedi di Via Veneto vada a finire, chessoio, a Courmayeur, in mezzo alla neve.

Il Palaesposizioni l'avevo lasciato lì, una mostra sul FarWest più qualche altra cosa che non ricordo. Sempre questi misti-con-frutta inevitabili perché è enorme, spropositato. Sotto le colonne di marmo color caramella mou ci possono passare i TIR, e invece ci stanno divanetti squadrati, girano ragazzi con il walkie talkie nerovestiti e supertesi, piccoli cappannelli di signore e gruppetti di liceali vagano per le sale di Rothko, dove io mi fermo come fossi davanti a uno dei miei santoni, colui che volle dipingere l'essenza e l'emozione pura: il quadro più grande, il più solare, un pezzo di vita che ti viene addosso come la prima luce che hai visto nella vita, mi fa venire l'idea di tornare con in tasca un blocchetto e le matite colorate CaranD'Ache o le cere o qualsiasi altra cosa che serva per copiare: perché l'essenza in parte venga ai miei occhi e dia anche a me forza creatrice. Di sopra e di sotto le sale sono per Kubrick, i divanetti bianchi ora circondano quel che fu una fontana razionalista, ovunque tante foto, le macchina da presa, gli obiettivi, le musiche, spezzoni, lettere e non dico più. E dietro le sale di Rothko c'è da vedere quella meraviglia della prospettiva e del disegno (io l'ho ricopiato) che è il Cristo morto del Mantegna spezzato da Ceroli, o i suoi boschi, le orchestre, la nascita di Venere.

La fila arrivava molto più lontano, quando sono uscita. I sampietrini ancora lucidi di pioggia caduta. Quando non voglio tornare a casa mi prende l'irrequietezza di girare per le stradine scure, in quel tempo dell'autunno in cui i lampioni non sono ancora regolati con il tramonto, e mentre giro un angolo quasi mi aspetto di veder arrivare la carrozza del Belli che viene da Morrovalle... Da Via Mazzarino sono salita fino al giardino di Villa Aldobrandini, un gioiello con accanto un pezzo di acquedotto. La luce se ne andava, virava al rosa ottobrino, per gioia e successiva frustrazione dei possessori di digitali turistiche: nulla rimane di quel colore magico, solo il ricordo...

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