Tirare verso il basso fino all’arresto
Io NON sono caramellosa, liricamente ottimista, in pace con me stessa. Non amo le atmosfere pulite e luminose, non gli odori della natura, non i colori dell’autunno: non più di tanto. Mi spazientisco facile e stare troppo zitta, senza poter odiare quanto voglio, alla lunga mi lascia un vuoto che si estende lineare fino al frigorifero.Sola dentro. Sì, non ha nessun vantaggio. Ci si abitua come a tante altre cose; ci si abitua ad avere percezioni malate, sanguinanti, non passate sotto alcun microscopio. Si vive lucidamente, sapendo dagli sguardi tutte le negative o le stanchezze altrui verso i miei entusiasmi: nulla se non brevi momenti di comunione, BREVI, che un tempo confondevo con la felicità.
E so l’aridità del dolore degli esclusi, costoro che si permettono la dodecafonia dei sentimenti in un mondo in cui vige un protocollo rigido, falsamente amichevole, talmente illuminato da accecare la rabbia necessaria. Ma nemmeno insieme a loro avrò altra conoscenza se non quella di riconoscerci fratelli, supernove. La più pesante delle mie frustrazioni: non aver tempo per perdermi nelle loro storie, nelle loro interne METAMORFOSI.
Nella notte, mentre il tempo mi passa sopra come un bulldozer - pesantemente sveglia e spesso chinata sui fogli come a guardare dentro un pozzo - io chiedo di trovare qualcuno con cui non smettere mai di parlare, senza per questo dover disputare il mio territorio. Non una protezione, non i soldi secchi, non l’intelligenza brillante del cristallo senz’anima, non un complice, nulla da condividere: ma l’UGUALE, l’altro lato del mio specchio.
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