mercoledì 1 giugno 2005

Interiorismi

Il mio silenzio produce da solo cambiamenti sensibili all’interno di quelli con cui vengo a contatto. Forse la cosa più mia, più riconoscibile; nel mio silenzio tutto, l’intimità ed i gesti, le parole che veramente dicono, l’affetto. Non tutti hanno accesso alle pause. Perché là dentro ci sono le parole che l’altro non pronuncia ma conosce benissimo: io fungo da specchio, e il tempo che ci viene sistematicamente tolto io lo riconsegno.

Voglio sempre rallentare, dentro. Nelle conversazioni ci sono intermezzi che hanno il delicato suono del tuono. Come dita che calano sulle corde di una chitarra con piglio predatore, facendo del male, strappando la metafora elettrica. Ascolto intensamente il vero o il falso, ma anche i miliardi di sfumature e tutti gli umani motivi. Sento queste linee spezzate tremare negli angoli delle labbra, che alla fine le ingoiano: in silenzio io le accolgo, le dissolvo nel brusio del presente. E per un secondo le voci tremano, pulite.

Qualche volta il mio silenzio è coltello, lo scalpitare dell’animale sotto il tafano. Molte volte ciò che conservo si rimescola in una pozione velenosa, la notte mi entra dentro come un acquazzone; erro confusa, con i sensi cortocircuitati. Mi nutro di stupore e caffè in parti uguali. Chi mi chiama non mi riconosce. Posso soltanto dormire ed arrendermi al mutare della luce e dell’ombra. Il silenzio è un bisogno dello spirito, ma è anche il suo confine. Tutto passa…

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