venerdì 25 marzo 2005

Carne y sangre

Il tempo è una cosa curiosa. Giro per il corridoio di casa - sperando che la caffeina trovi un passaggio chimico fino alla riattivazione dei miei neuroni rintanatesi chissà dove nella notte - senza capire razionalmente cosa faccio né cosa dovrei fare. L’istinto, smarrito, ribelle. Le lancette dell’orologio sono nere come cornacchie, corrono. Il caffelatte freddo, il sapore delicato dei biscotti, l’acqua che non lava via la nebbia del sonno, vestirsi a tozzi e bocconi sotto la luce grigia di una mattina umida. Stacco la spina del caricabatteria del cellulare, il cavo attorcigliato in spire torturate, che resiste ad ogni tentativo di essere rimesso ben arrotolato. Sono i compartimenti stagni del tempo pre-lavorativo, solidi, definiti: ogni gesto staccato dal suo contesto, funzionale soltanto al dopo. Un tempo difficile, crudele.

Invece appena sono fuori, sulla strada, mi rendo conto di come il tempo diventa puntuale, leggerissimo. Mi rendo conto che la vita (e vorrei che non fosse che questo) non è che questo infinito adesso continuo in cui ogni gesto, ogni atto e pensiero sono iniziati e finiti nello stesso momento. Ed ogni azione è priva di desiderio di eternità, ogni rapporto umano dura un tempo tutto suo, ad ogni secondo tutto può finire o mutare: sento questo movimento che abbraccia tutto e che non posso fermare, sento intorno e vicino le scie che lascia la vita, che ognuno vuole conservare e che invece appartengono al tempo e in lui si sciolgono come il fumo denso di un buon sigaro.

Arrivata al parcheggio, mentre mi metto la giacchetta e sento gli odori dell’erba e gli alberi e gli uccelli canticchiare (una cornacchia su un pino mi guarda con gesto prepotente e sornione. Quando mi avvicino con la macchina fotografica, piega la testa come a dire “ma de che?” e si butta a volare verso pini più alti), tutto ciò un po’ mi ribolle dentro, indefinito come tutti i pensieri fluidi che faccio e che poi fatico a mettere per iscritto. Il tempo del lavoro è un tempo a scatti, nevrotico, stridente. La sua concretezza, il fatto che abbia un valore misurabile e in questa misura finito, me lo rende sterile. Ma accetto questa parentesi nel fluire. E la consegno al futuro.

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