Se dovessi cadere
Anziché scendere, l'ascensore comincia a salire molto molto lentamente. Trattengo il respiro e sento come i miei piedi si ancorano a terra ed il mio corpo si fa pesante, in un inconscio voler rovesciare la direzione del moto. Forse posso arrivare al piano di sopra, aprire la porta ed uscire? L'ascensore sale a mm al secondo, una velocità paradossalmente infinita, e finalmente si ferma a metà tra i due piani; non posso uscire né scendere e mi attacco all'allarme. C'è un aria di dopo pranzo, un silenzio di piante, sento il sole stiracchiarsi morbido nelle scale. E io lì, sospesa nel nulla. Sono anche spazientita. Alla fine sento le voci gli ascensoristi che da due giorni provano e tarano il funzionamento del motore dipinto di un blu Klein, nuovo di zecca.- Allora?
- Scenda!
- Ma come scenda? Questo sale!
- Adesso vengo su io. Prova a farla scendere! - dice una voce ad un ragazzo che ho intravisto acquattato vicino al motore.
Ripremo 0, e l'ascensore ricomincia testardo a salire. Non lo sopporto, la mia razionalità si ribella e mi sprona: "sono due giorni che stanno lì, che incapaci, nemmeno riescono a farlo funzionare"
- Sale ancora!
- Falla scendere in manuale - dice quello di prima, e l'ascensore finalmente scende. Devo spiegare ogni movimento che ha fatto, sono tutti molto seri.
La strada è piena di luce, corro a prendere la macchina che parte come un motoscafo nel traffico. L'obelisco di Piazza S. Giovanni sfida un cielo ridente di nuvole nuove. E' troppo presto per il mio appuntamento: perdo tempo girando nelle strade dietro all'ospedale, sbirciando gatti sornioni su rovine malnascoste e meccanici ingoiati dai cofani di macchine con i lampeggianti spenti, miti nel pronto soccorso di un officina.
Giù per la strada dei Santi Quattro, evitando i tombini e senza toccare il freno fino alla fine. Non sono che una bambina che esce alla primavera e vuole giocare... L'abside imponente, le finestre segrete del convento m'incombono mentre guardo le facciate delle case, nelle stradine, alla ricerca dei balconi arrotondati di travertino, degli anni 20, misti ai mattoni rossi o agli intonaci pastello. Da un camioncino un uomo dell'est (da quale est? quanto è lontano il suo?) scarica legna da ardere. Un groviglio di motorini. Quattro turisti biondi, che guardano ognuno da una parte, fermi all'angolo di San Clemente.
Sulla via di San Giovanni in Laterano, in salita, si affacciano tre o quattro balconi dai palazzi riccamente decorati. Uno solo, elegantemente arrotondato, fissato ad una parete ritagliata, perfettamente conservato e ben dipinto, non ha dietro una casa. Si affacciano soltanto le trasparenti immagini che scorrono ai miei occhi mentre ci passo vicino, gli alberi anonimi, le pareti misteriose di un appezzamento sgombro; ci si posa qualche passeretto. Ma io la vedo, la voglio vedere: uscirà, a guardare la strada, una ragazza giovane, dai capelli scalati; aspetta, per sempre, un amore promesso...
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