Ambizione
Liberamente ispirata da questa immmagine di Damiano
Il tuo profilo ha finito per prendere lo spessore del tempo che mancava alla partenza del treno. Si è assottigliato fino a che il semaforo è diventato verde ed il rumore dei dispositivi elettronici della motrice è aumentato fino a diminuire. L’ho ricordato mentre ti allontanavi; proiettato sui muri delle case e le scale della metro, insieme al colore dell’ombra tua, unico per me tra i tanti colori delle ombre - sfumato nelle mattine, quando ci prendevamo un caffè e partivano brusche risate e sorrisi a sguardo perso – e che trascina, ora, una coda formata dai limiti fisici delle cose che abbiamo visto, toccato, condiviso.
La direttissima e te si allontanano senza interruzioni. Le strade verso S. Casciano, nel pomeriggio rossastro, costeggiano seminativi e vigneti, ville e casette mute nella dignità contadina, scuole che domani mattina saranno piene di risa, e mi sento un intruso. Questi spazi sono più adatti a te, fine ed attraente, che assorbi la luminosità dei tramonti. La cittadina dorme un sonno medievale minacciato da grandi palazzoni, ma dentro le mura nulla esiste se non il silenzio che le macchine provano a sporcare. Guardo i tanti bignè della pasticceria: ogni sfumatura della crema ha un corrispondente esatto, un inquadratura staccata ed ingrandita, liscia, della pelle sotto le diverse luci del giorno o della notte. Scendo verso la strada, mangiando, le labbra inzuccherate.
Il sole timbra il cartellino e si lascia andare dietro Orvieto, stanco, alla notte. Dentro me c’è una terra di nessuno, dove mi tuffo in quel secondo che mi prendo prima di formulare una frase, di rispondere ad una domanda. Quel secondo fissa la luce di quell’istante. La terra è affamata.
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