People are just people like you
Venditore di cocco
L’Aurelia, che tanto lontano arriva, mi sfugge sempre; è una porta della città che si fa sempre labirinto, le strade s’intorcinano intorno come evitandola. Ma finalmente anch’io vado nel mixer con tutte le altre cellule entrate nel separatore e da lui sparate verso il mare, tutte marchiate da colori estivi e pelle lucida di olio solare, sui motorini che zigzagano in mezzo al flusso di latta per sparire finalmente a destra, verso Fregene. Noi grossi organismi di latta andiamo avanti in mezzo ai campi di grano pronti per la mietitura, verso Ladispoli, e oltre.
Le case stanno lì come cubetti di zucchero colorato. Le imposte ancora chiuse, non una maglietta stesa sulle ringhiere. Il mare, là sotto, le ignora e loro a lui: quest’inverno hanno litigato, gelose del suo pavoneggiarsi nei tramonti con i vestiti dai riflessi più segreti. Anche gli abitanti del minuscolo stabilimento stanno lì come fossero dal parrucchiere o al parco; e ciò dimostra che sono ladispolini, abbandonati sulle sdraio a godersi questo sole velato, questi brontolii di un mare che ancora si difende con le meduse, timoroso della vera calca estiva. I miei piedi vanno su braci di sabbia nera verso l’acqua. Troppo abituata allo schiaffo gelato del mio Atlantico, la sento tiepida; il mare è grasso, agita tutti i suoi rotoli, la visione dei ciottoli levigati del fondo è torbida, non ospitale.
Dormicchiare, è così bello stare così, lucertolati, con sopra un venticello che butta ombrelli e costringe le mamme a tirare fuori le magliette per i pargoli; dormire con il morso di un sole vampiro sulle spalle, e lo sventolare delle pagine del giornale come unico rumore, oltre al mare. Il chioschetto minuscolo, dove persino il poster dei gelati e la lista dei prezzi sono piccoli, sta come una bocca aperta sulla sabbia; eccomi, un caffè delizioso preso a piedi scalzi e riparto, a zonzo, passando per le strade della bonifica di Maccarese con le sue fattorie rosse, non seguendo i cartelli ma l’istinto che mi porta sempre sotto l’aeroporto, per strade bordate di terre appena smosse i cui pezzi argillosi vorrei stringere nelle mani come quando ero piccola; strade i cui nomi sono miei, Via del Decollo, Curva della Pista di Atterraggio, Strada della Seconda Pista, Rettilineo dei Depositi di Combustibile. Due giri e sono sotto la ferrovia, gli svincoli. E’ il ritorno dal separatore: abbiamo lasciato parti preziose al mare, e torniamo sul lungo tubo aperto della superstrada, avvicinandoci al corpo cittadino, entrando nelle vene porte, irrorando i quartieri senza fermarci mai.
Schiaccia, mi dico, vai, schiaccia l’acceleratore, i bottoni giusti o no, i tasti del tuo pianoforte. Da qualche parte nella corazza c’è la fessura, lì dove rimase il sentimento assopito, dove come al mare le meduse difendono dalle emozioni devastanti. Schiaccia per aprire, per amare di nuovo, per non più respirare, per essere viva.
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