giovedì 31 maggio 2007

Rigenerazione della grattachecca

- Cche 'o sa se qqua 'ntorno c'è un feramenta?
- Mi perdoni, che è quella laggiù, Piazza Zama ?
- Scussi, please, SanGio-vani?


Io ho sempre pensato che è per i colori, o perché i chioschetti sembrano casette dei vigili ma più piano terra, non sopraelevate e quasi irragiungibili: oppure perché oltre a me e ad altri quattro gatti nessuno guarda la gente che passa, nessuno è disposto a carpire uno sguardo di smarrimento ed a rispondere; invece il grattacheccaro è come quelli delle usl, dell'anagrafe e delle poste, una specie di superimpiegato della strada, che mentre risponde più o meno asciutto gratta il pezzone di ghiaccio e lo spala nel bicchierone, poi lo annaffia con lo sciroppo che vuoi tu, ci schiaffa il cucchiaino e la cannuccia (optional) e mentre te lo porge ti saluta e ritorna nello sprofondo del suo minilocale.

Questa specie di zuppetta colorata ferma il tempo. Ci si blocca nei terrazzini con le poltroncine di plastica e pure dentro le macchine e poggiati sui portoni e seduti sulle improbabili panchine dei semidistrutti parchi di quartiere. Si rimesta in quel brodo dolce, artificiale, sciropposo e sdolcinato e si prova un piacere infantile, come se la mamma ci avesse cresciuti a vichyssoise e non a semolino; si schiaccia il ghiaccio tra i denti ed è come mangiare la neve (chi ha mangiato la neve), e infine si dimentica il traffico calcuttiano, le arrabbiature, i rotolini di troppo. Io non resisto, tiro su con la cannuccia, le mucose della bocca si ricoprono di una cappa di melassa, il ghiaccio si solidifica in blocchetti: e allora bisogna picconare lentamente con il cucchiaino, unlavoro certosino, da meditazione: ricostituire i microscopici pezzetti senza i quali la grattachecca sarebbe niente, un analcolico da brunch, una robetta da aperitivo dei matrimoni.

L'estate comincia quando si aprono le saracinesche dei chioschetti, come è autunno quando si va per fraschette: i turisti nulla sanno, non ci sta nelle cartoline o nelle guide. E' roba da romani...

mercoledì 30 maggio 2007

Riflessione per un breve scongiuro della velocità

Sul vassoietto, un pezzo di mozzarella biancheggia orgogliosamente nel suo latte, guardando altera come una dama di quelle antiche - alle quale il sole non doveva toccare: non erano mica contadine, loro - le due fette biscottate ai cereali dense di profumi e di tonalità della gamma del marrone. Fuori, le nuvole che a mo' di popolino seguono da due giorni la l'andare dei re temporali, di tutti i colori del grigio e del blu, passano lente sopra i profili orizzontali della città.

Per un po' io e le case, le strade, i profili non ci stiamo guardando. Io vo' di corsa dapertutto, giurando nelle mie tre lingue conosciute, ignara di cornacchie e motorinisti, conservando per dopo le promesse; la città gira intorno a me come la madre di un adolescente, senza molto capirmi, ma aspettando. Non sa, nemmeno lei, che la mia attenzione di questi giorni sta su coloro che dormono mentre qui il sole è già alto, che si lavano i denti mentre una ragazza di lino vestita alza il braccio abbronzato e guarda l'orologio, che mentre scendo l'ultimo gradino del portone analizzano per la millesima volta un composto, che collocano un frutto in modo a fare un quadro mentre io spremo il mio cervello nei deliziosi calcoli dei solitari.

"Tre volte ho attraversato il Sahara con gli abitanti del deserto, una volta anche con un gruppo di nomadi incontrati per puro caso. Non riuscimmo a trovare una lingua per capirci, ma restammo insieme lo stesso. Non scambiavamo parole, ma dividevamo l'esperienza dell'amicizia, della fratellanza. A un certo punto fui folgorato dalla sensazione che avessimo fratelli e sorelle dappertutto ma che non riuscissimo a rendercene conto: un impressione sublime."

Ryszard Kapuściński, Lapidarium, pagina 38

sabato 26 maggio 2007

Una citazione

"Definizione di patria.
Genet: "La mia patria sono due o tre conoscenti"
Camus: "Sì, una patria ce l'ho: la lingua francese"
Il tuareg: "La mia patria è dove piove""

Ryszard Kapuściński, Lapidarium

A Roma, nell'attesa di un temporale che sfoghi un caldo opprimente, io sono con il tuareg.

sabato 19 maggio 2007

Manière de montrer le Janicule de Rome



Un edificio con i colori della città, in una stradina intorno al Gianicolo

Che c'è al Gianicolo?
La città stesa al sole come una ragazza che si cura la tintarella. Di sopra, il vento. Invece dell'odore dell'abbronzante, un misto di gelsomini e supplì.

Che c'è al Gianicolo? Incredibili matrimoni nel caldo statico di maggio. Le fusa del motore della Chrysler che aspetta gli sposi. Vestiti cangianti, rinascimentali, delle invitate. Lo strascico della sposa, che nessuno porta. O tempora, o mores.

Che c'è al Gianicolo? Gli alberi più grandi di Roma (pini, cedri, i platani dell'Orto Botanico). La fontana più imponente di Roma (Trevi, prrr). Le curve più morbide di Roma, in discesa. Le case patrizie più belle di Roma.

Che c'è al Gianicolo?
Il Bar Gianicolo, di fronte a Porta San Pancrazio, davanti alla quale vengono spostati, da un megacamion, pacchi enormi verso un furgoncino. Traffico forsennato. Dentro, panini mignon con alici, mozzarella e fiore di zucca. Foto antiche e sedie di vero legno. Un minigiardino dove leggere il giornale.

Che c'è al Gianicolo?
Il cannone. Fermatevi e controllate l'ora dei vostri cellulari.

Che c'è al Gianicolo?
Bambini che disegnano con le matite colorate, sulla soglia del sacello dalle volte coperte di mosaici d'oro. Due motoristi old-old, con una Guzzi e una Ducati d'epoca, 100% jeans slavati e chiome al vento, che confrontano le rispettive cromature.

Che c'è al Gianicolo? Molto, moltissimo sole. Molto, moltissimo polline.

venerdì 18 maggio 2007

Like-geek post

Se sto a casa quattro giorni, ottenebrata da un insieme di malesseri fisici, ridotta a letto e circondata da fazzoletti, oltre a riposare e guarire posso fare varie cose che normalmente non posso fare, perché spinta da ben altre velocità verso altre priorità. Una, rileggermi qualche voce del mio tomone preferito sul Grand-Siècle; un'altra - tentando di coprire il rumore degli operai che rinnovano la rete del gas sotto le mie finestre - vedere la televisione non satellitare ad orari strambi, le mattine o il prepranzo. L'accendo in attesa di qualcosa di diverso, come se in quei territori temporali a me normalmente vietati ci fossero scrigni di tesori da scoprire. Ok, sì, li vedo, i sopraccigli alzati dei miei lettori: nun c'è trippa pe' gatti. Spengo dopo un po', seccata come une princesse du sang che avesse voglia di fragole a dicembre e si vedesse recapitare un cestino di castagne, con intorno il riccio.

Sì, c'è molto movimento attorno ale nuove tv sul web. Ho passato anch'io i miei buoni momenti sulla RGTv che mi trasmetteva tranches de vie dai vari BarCamp. Ma come può l'utilizzatore del telecomando passare a una gestione autonoma di contenuti così avanzata? Non rischiamo la saturazione, come già succede con i feeds? Quanto tempo mi ci vorrà a "scegliere" il mio palinsesto? Mi ci vorrebbe un ABC, una cosa valida per il pubblico che riempie gli autobus, le strade e gli stadi (ci sono anche in gioco le sacrosante partite di calcio (e tutti gli altri sport, of course), come riflette Loic). Non tutto sarà buono, non tutto sarà intelligente.

Il tempo. La Web tv me lo toglie o me lo ridà più ricco? Tv or not Tv?

sabato 12 maggio 2007

Volo a vista



Stazione Termini

Tra uno strizzarsi gli occhi e un sopportare gli starnuti, effetto dell'allergia annuale, sono uscita a vedere il trambusto, come una qualunque spettatrice, di strada verso Termini. E sono sempre dell'idea che in queste giornate organizzate siano due le categorie che mi piace osservare: i baristi, che incassano senza battere ciglio e ci provano, come ai tempi del primo AnnoSanto, a rincarare qualcosa, tanto in mezzo al macello non si nota; e i vigili, schierati seri seri negli incroci nastrati che isolano il fiume su gomme da passeggini, e rispondono a tutti coloro che fanno manovre a piroetta - che in altro tempo mai potrebbero permettersi - per chiedere "come arrivare a", o indirizzano piccoli gruppi, occhieggiano famiglie sedute ai bordi delle fermate su sedioline pieghevoli, ignorano accenni di minipartitelle con minipalloni portati negli zaini, foto ricordo con bimbi stanchi and so on. I negozianti tengono presidiato lo spazio delle loro porte, e aspettano che passi la fiumana senza espressione. Le famiglie non possono comprare quelle loro deliziose, suggerenti merci costose.

Passeggiare in mezzo agli stradoni dove ogni giorno incrocio la spada con altri guidatori e i motorini, con mille occhi di Argo e mantenendo un minimo di zen, non ha prezzo. Mi sembrano anche più grandi i dintorni di SanGiovanni. Dopo un po' di sentirmi l'unica abitante di via La Spezia, che cammina in mezzo all'asfalto in uno spazio-tempo impossibile normalmente, fuggo in un 649 strapieno dove non riesce a salire un passeggino di gemelli, dove comincia a prendere corpo il sudore cittadino, dove ogni apertura delle porte centrali è salutata con un sospiro, come fossimo nell'Africa Subsahariana. La stazione è fresca come sempre e anche lì girano gruppetti stanchi, di ritorno.

Adesso il sole cala, c'è un accenno di ponentino. E mentre viro a 47 per atterrare nel mio personale Kai Tak casalingo penso agli addetti AMA che spazzano, come qualche giorno fa, e rendono anonimo e valido per tutti un bel pezzo di territorio cittadino...

mercoledì 9 maggio 2007

Particelle subelementari

Oggi c'è una foschia che è anche un po' una metafora dell'attesa dell'estate già nell'aria. Nelle farmacie ci sono sandali nuovi dai colori pastello, le magliette dei ragazzi in motorino sfoggiano colori forti, le vigilesse non tollerano più la giacca. Ho voglia di andare ai Parioli a fotografare case dai profili morbidi e prendermi un caffé al Cigno, così, senza obiettivo.

Impera ovunque la cronaca e il gossip, in questo periodo. Fatico a leggere i giornali, a informarmi. Mi viene un certo rifiuto dell'attualità, mi vado a leggere giornali africani o sudamericani e da lì parto per navigazioni a vista, senza obiettivo. E navigando una notizia dietro l'altra trovo chi mi parla del futuro...

lunedì 7 maggio 2007

Una citazione

"Hans Magnus Enzensberger mi ha detto una volta: il talento si paga sempre con un certo tasso di anormalità. Nell'uomo dotato di talento si annida per forza qualche anomalia, una deviazione - tal volta molto ben celata - dalla norma."

Ryszard Kapuściński, Lapidarium.

venerdì 4 maggio 2007

Timbratura in uscita

Il venerdì è giorno di lettura: riviste, inserti, Romac'è e RomaCheap. In tuti gli altri giorni c'è come l'embrione del giorno dopo con tutte le vicissitudini. Il venerdì no: torno a casa e vedo alla finestra, alle 20.30, ancora un barlume di luce diurna. Sono tre ore in più circa di quando ricambia l'ora legale, a ottobre, e io sprofondo un po' nello spleen invernale. Questo surplus di luce mi permette di rallentare completamente, per così dire di spegnere il motore e rimanere un po' come a settimana chiusa, per poi aprire lentamente i finestrini del sabato e lasciar passare la leggerezza del fine settimana, la lentezza dei giorni senza orologio.

E' il giorno in cui penso: Dai, una scappata a vedere il nuovo centro commerciale-monstre. Per curiosità. C'è andato anche Garbaland. E' il giorno in cui provo a vedere una mostra sulla Vespa e gli anni '50, in quest'albergo dove mai potrei altrimenti mettere piede; io adoro gli alberghi, case prestate che raccolgono brevi vissuti in un libro di mattoni e intonaci pastello. Ovviamente, dopo quattro giri di ricerca di parcheggio (i lettori romani storcono il naso: "Intorno a Via Veneto? Ma è come parcheggiare in terza fila davanti al vigile: da pazzi!"), mi sono detta: "Ok, ci hai provato, appena puoi ci vieni con i mezzi, eh?".

E finalmente mi sono rifugiata, stanca, in questo post con canzoni di vecchi film.

mercoledì 2 maggio 2007

Physical tools



Lucchetti di amore eterno, Ponte Milvio

Questo giallo negli occhi non è il sole, è la giacchetta di nappa che mi sta tanto bene, dici tu, con i capelli rossi; insieme l'odore del cuoio e il rumore bambino delle onde, insieme sentire la sabbia sotto i sacchi a pelo, adesso anche un brrrivido, è così presto.

Arruffati capelli tuoi, le mani morbide che non so cosa tocchino là sotto nascoste, non me; il cielo è rosa e grigio qua sopra, cinque rondini che girano come stelle ninja. Forse ieri sera abbiamo esagerato, intorno al fuoco, a ballare e a ridere che mi fa ancora male la pancia. Sono le solite cose, le hanno fatte in tanti prima di te, miadorata, diresti te, mentre io abbasso gli occhi perché sono troppo felice, troppo.

E in quel secondo di silenzio dopo ci sono quelle bozze di carezza che lasciamo un po' languire nelle mani, nulla si crea, intensi appunti di tatto ma no, ma di calore, cose indistinte, passione non-nata; come quando andiamo in macchina di notte, sentendo la stessa canzone, con le luci delle macchine che scalano le case e diventano stelle riflesse sui finestrini, e penso che lasciarti sarebbe come strapparmi, come una bruciatura sulla pelle dei palmi, mi viene una lacrima stupida e per distrarre aumento il volume, ti odoro, rido di nulla finché mi guardi attonito e premi il freno per baciarmi in mezzo alla strada e poi ripartire.