martedì 31 gennaio 2006

Comunicazione di servizio_13

Io gli ho lanciato vari diretti, ganci destri e sinistri e un paio di calci sugli stinchi, ma niente. Ho di nuovo quell'ospite indesiderato che tappa il naso e rende irascibili e rintronati allo stesso tempo: il raffreddore. Beurk.

Eppure nessun raffreddore può fare che domani io non passi dal mio cremiere (nel senso di fabbircatore di crema che va dentro ai bigné o in mezzo alle torte) di fiducia, Marco alias "il pastafrolla", a Piazza di Villa Fiorelli, 13A (tra il ristorante cinese e SS Fabiano e Venanzio), dove per l'inaugurazione del nuovo laboratorio, l'esimio offrirà bigné alla crema, aggratisse, a tutti (hey, soltanto domani, eh?). Ci va un solo autobus, il 16. Gnam.

Update: C'era la fila. E io sto un po' peggio. Boh.

lunedì 30 gennaio 2006

Una vita da mediano

Dopo i fuochi d’artificio di DeNittis e Boldini, mi aspettavo molto dalla mostra di Zandomeneghi, l’unico-veneto-tra-gli-impressionisti, che mi piacciono per la magistrale capacità di cogliere e fissare il movimento (Degas su tutti), il colore della pelle, la vita delle cose (Renoir), le infinite tonalità della luce (Manet). Ma mentre i due primi pittori proposti rientrano in questi ristretti parametri e li superano anche, Zandomeneghi è un'altra cosa.

La mostra è, come in DeNittis, splendida. Ricca e ben organizzata, con fonti documentarie (lettere, note biografiche, piccole spiegazioni dei periodi artistici esposti in ogni saletta) discrete e ben scelte, che introducono ai quadri e ai disegni, un filmato la cui saletta di proiezione era piena; insomma, se a Roma c’è fame di belle mostre, quelli del Dart ce la mettono tutta e sono abbondantemente ripagati dal giudizio del pubblico. Ed ecco, finalmente ho capito cos'era quel qualcosa che mi stonava, mentre per mesi guardavo i cartelloni della mostra ovunque sparsi , e mi dicevo “manca qualcosa, è diverso dagli altri...”.

Zandò, come dicevano i francesi, dopo gli anni di formazione e la gioventù passata a Firenze insieme ai futuri macchiaioli (Fattori, Signorini, Lega, etc) parte per Parigi e lascia indietro tutto così, di colpo: una mossa d’artista che va verso lo sconosciuto che gli fa paura e insieme lo attira. Subito espone con gli Intransigenti (il primo nome del nucleo degli impressionisti), si mischia alla loro vita, e comincia a capire che lui non è tagliato per l’adulazione, la mediazione, la rinuncia ai principi, insomma tutto ciò che, oltre alle proprie capacità tecniche, porta ai grandi salotti e alle committenze che permettono di vivere agiatamente. Uno spirito fatalista e anche un po’ accidioso gli fa scrivere agli amici lettere in cui la contraddizione tra la propria idea di artista e la realtà della società parigina e dei mercanti, nonché le “bizzarrie” degli altri impressionisti, sono oggetto di dolore e delusione. I quadri riflettono i temi comuni del periodo: paesaggi, personaggi dei caffè e dei teatri, movimento delle strade e delle piazze. Ma non può soltanto dipingere: comincia a lavorare per riviste di moda, fa il figurinista. Questo lavoro, che manterrà sempre nascosto volendo evidenziare sempre la sua natura di pittore, gli da' da vivere ma lo amareggia nella dignità, lo sminuisce a se stesso. Una malinconia che sta in quasi tutti i quadri della maturità, che li permea, che non permette in loro il brillare del bianco, che è la luce. Mancano ovunque i riflessi, manca la luce catturata, e rimane una luminosità soffusa, intimistica, malinconica appunto. E’ su questa nota cui c’è la magiore ricerca, non sempre ottenuta con successo, ma cercata con umiltà e maestria: le sue donne pensose, la levità dei loro gesti, i loro visi rossi senza belletti, tutto parla di questa reclusione artistica obbligata dal dover fare un altro lavoro per vivere, e dalla quale si vuole ottenere un riscatto, una propria via. E alla fine, in una intervista riportata nell’ultima saletta dice, circa: “la mia opera può piacere o no, e questo è il massimo di cui permetto si parli riguardo a me”. La sua vita privata, l’emozione triste ma serena che spesso traspare dai suoi quadri (uno su tutti: un Renoir tardo, dei pesci che sembrano ancora vivi, dipinti nel tempo in cui il pittore aveva un tale tremore alle mani che gli dovevano legare il pennello alle dita, è accostato al quadro di un pesce rinsecchito, poggiato su un piatto bianco. “Ma è il quadro di un pesce o di un piatto?” pensavo io guardando le due cose e sentendo salirmi allo stomaco un grosso magone) mi hanno lasciato non una sensazione soltanto visiva, ma anche morale. Perché un qualunque artista, qui un pittore, anche bravo, anche bravissimo, originale, dai colori sapientemente posati sulla tela, può essere nulla senza l’abbraccio del pubblico.

Andate a vederla prima del 5 marzo, quando finisce. E non sentite i commenti “tecnici” delle guide e degli esperti che si avvicinano e si allontanano dai quadri senza sentire affatto quello che il quadro dice. Immaginate il quadro senza cornice, appoggiato al suolo dello studio, mentre in una mattina polverosa di Parigi aspettate il pittore, che vi deve fare un ritratto e si sta lavando la faccia nel catino, nella sua stanza, e si scusa con voi dell’incuria della casa. Fa molto freddo. Sentite i quadri.

domenica 29 gennaio 2006

Navigazione a vista

Come ben dice Leibniz, i Weblog Awards, o Bloggies, sono un modo per conoscere altri blog interessanti nella rete, anche se non sicuramente i migliori; che per questo ognuno ha la sua lista di links, la sua più o meno grande classifica. Serve pure a confermare che le proprie navigazioni estese hanno un favore plurale: ho trovato nominati Delicious Days e anche Hugh McLeod, che leggo da quando la bravissima Luisa Carrada lo segnalò nel suo blog. C'è da investigare anche i blogger africani (e questo significa perdersi nelle liste di link, etc), gli asiatici, i canadesi, i photoblog, and so on.

E quando mi sarò sufficientemente saturata, uscirò a vedermi, finalmente, la mostra di Zandomeneghi, con sottobraccio il mio libro su Renoir (c'è molto dell'uno nell'altro, o è una mia impressione..?). Colori, colori ridenti, e anche una scusa per errare nel centro di Roma, per perdersi nel tempo e per un po' scomparire...

venerdì 27 gennaio 2006

Memoria e compleanno

Sì, non è soltanto oggi che ci penso, a queste cose.
Ma è anche il 250 compleanno di Mozart. E se Mozart lo canta Cecilia Bartoli...

Devo dire che fatico molto, in certi Giorni della Memoria.

giovedì 26 gennaio 2006

Perché c'è altro amore

Quando non ho più contatto con le mie emozioni, quando sono troppo intense, quando mi duole essere contraddittoria e fragile, prendo la macchina e seguo una qualunque direzione centrifuga, circolare. E’ un gesto inconscio. So che tutti i miei gesti e i miei moti hanno un significato. Ma non cerco di trovarlo, non subito: è importante quello che il moto trasmetterà, quello che il viaggio susciterà. Guidare è catarsi; tira fuori da me le linee sfumate del mio stare nel mondo e le trasforma in parole che posso scrivere, sulle quali ci posso riflettere. E ho imparato a non farmi troppe pressioni: meglio essere amica di me stessa, compagna dei miei silenzi. Mi attardo nelle strade che circondano i laghi, nelle piazze rotonde, nelle rotatorie dei quartieri in construzione. Il cerchio ed io giriamo in un movimento centrifugo più grande, da vinile, come se una mano spingesse lievemente l’asfalto verso destra-verso sinistra, verso fuori, rimescolasse le mie interruzioni, le stanche ripetizioni di tanti giorni. A poco a poco dal cuore mi viene su una canzone, mi viene su una bambina che pattina sul ghiaccio, mi viene su il calore che dorme potente sotto lo specchio d’acciaio.

come ti si illuminano gli occhi se parli di qualcosa che ti piace
o in che modo abbassi le palpebre mentre sostieni un sorriso tenero

Le parole sono i fiori che ho sempre offerto all’altare del destino, dell’ineluttabilità delle cose, del tempo. Soltanto parole e curve definibili. Esse sono un incantesimo che lancio per me stessa. E risano.

martedì 24 gennaio 2006

I soldi di tutti

Io ho sempre creduto, o almeno è un approccio alla storia che m'interessa quanto quello della storia sociale, che le fluttuazioni dell'economia siano uno dei motori della storia dei popoli. Un po' mi affascina, un po' mi fa paura. Mi sembra che questi anni siano storici, soprattutto per quello che succede in India e Cina, nonché il problema delle soffocate economie africane. Per questo, approfondirò quanto posso il programma del World Economic Forum (che ha un'antipatica animazione dei contenuti...), che comincia domani a Davos, e che ha anche un blog (via Loic).

Update di Inedita: Ho richiesto il banner, ho richiesto istruzioni per partecipare ai dibattiti online. Ad oggi, silenzio assoluto. Perché mettere un indirizzo email se poi non si risponde alle richieste?. Domandare è lecito, rispondere è cortesia.

Update 2 di Inedita: Il banner me lo sono autogestito, e l'ho messo insieme agli altri importanti. In più mi hanno risposto. Evviva.

domenica 22 gennaio 2006

Una citazione, mia.

Tutti hanno preso quello che io sono capace di dare, e nessuno mi ha dato quello che non sono capace di prendere.

Tu crois l’éviter, il te tient


Terrazza dello Zodiaco

Una rete come di glutine mi resta negli occhi mentre lievito fuori dal sonno, mentre mi vesto al buio ed esco, molto presto, per andare al mio mercato di Prati a farmi tentare dalle spuntature, le copertine, il fegato, tutto quello che di solito troneggia sul banco del mio macellaio. Nemmeno il guardiano notturno del garage vuole uscire dalla sua stanzetta. Il mio squalo è gelato e il motore ringhia basso. Una luce irreale si beve la notte che scappa dalle facciate. Su tutto una nebbiolina rosa e lilla dalla quale i volumi e le presenze umane faticano ad uscire come da un incubo di garza.

La città sta stretta in quest’inverno. Invia sms gialli alla primavera ibernata. Diventa reale di colpo quando si spengono i lampioni: in meno di un secondo scattano i gabbiani che dormono sui camini. Vanno a corteggiare il fiume, a infastidire le anatre. I semafori sono smeraldi e rubini. Dentro al Muro Torto si vede tutto a giorno, non è più quell’infilarsi nel buio, nella nebbia lattiginosa di luci che stanno sul punto di morire… è troppo presto. I furgoncini bianchi stanno attaccati ai fianchi del mercato come pecore paurose. Un maialino dorme l'eterno sogno di mangiare una mela, solo in un bancone in allestimento. Odori di caffé, di fiori recisi. Proseguo verso lo Zodiaco, spinta da un desiderio indefinibile, seguendo le curve della Panoramica con la stessa lentezza di quando si fa all’essere amato una carezza lenta, saggia. Il bar è chiuso; ci sono solamente due tipi che girano parlando, ben imbacuccati. Uno ha scopa e paletta e fa finta di spazzare mentre invece parla seguendo l’altro. Tutti e due mi guardano mentre scatto due foto con le dita gelate, sfidano con me il freddo pungente che ritaglia contro un blu ancora notturno tutti i contorni, mentre la rugiada, che ha in questo momento la sua effimera apoteosi, evapora lentamente intorno ai joggers che scendono verso la Trionfale. La città si muove sotto, come una grande lingua che sta per formulare una parola. E’ quella morbidezza dolorosa di quanti si sono abbracciati mentre si sporgevano sulla città e volevano volare. E’ la voce degli amori che lì sono stati consegnati.

Nel vento ora vanno i miei baci mancati, gli occhi lucidi che ho avuto tante volte, la dolcezza che è di tutti quelli che amano. Un social networking di emozione e ricordi. I due guardano con me, là sotto. Cosa vedranno, loro? Il fiume si curva sotto i ponti e sorride, complice, fino al mare.

Behind the decks

Altrove ho scritto delle sensazioni prodotte nel vedere i video che passano su yos. Stamane, mentre pensavo a un post da scrivere sulla bellezza di certe mattine romane (che farò dopo) e finivo di adagiare nel forno una presuntuosa coscetta di agnello, che con il solo omaggio di una sfiorata di olio e l'incenso di qualche granello di sale di Mozia riesce a produrre profumi che stordiscono, è passato "That's the bass" di Carl Cox e Norman Cook, facendo diventare la mia minuscola cucina una bella pista scura, ipnotica. Quando il flipper fa 100.000 punti di bonus, e dunque uno sa che è stato toccato dalla fortuna e si bacia le dita e porta gli occhi al cielo come i giocatori di calcio, così mi sono sentita. Anche se non sempre è il tempo o il luogo, a me ballare piace. E piace molto. Molto di questo.

venerdì 20 gennaio 2006

La città dalle dodici stazioni

Leggo da Webgol che i primi di febbraio si apre a Genova Inedita, salone dell'editoria libraria, musicale, multimediale. L'ingresso è gratuito. Al suo interno è stato aperto uno spazio molto ampio che ospiterà iniziative legate ai blog e ai bloggers. Il programma è ricco e appetitoso, nonché curioso: nuovi media, psicologia (?), politica, nuovi modelli di scrittura, agorà di bloggers.. mi sembra che ci stiamo passo passo avvicinando a un italico LesBlogs, anche se qui manca la parte per così dire "imprenditoriale". Una cosa mi è piaciuta molto: c'è la possibilità di partecipare online alle discussioni di domenica su Blog&Bloggers, chiedendo di iscriversi (questo garantisce gli interventi dei soli interessati..). I convegnisti mi sembrano un bel gruppo multietnico, influencer.

E' anche stato bandito un concorso letterario per autori esordienti e anche uno online, "Un post in dieci righe", che mi sono persa (le mie imprecazioni in tre lingue non possono essere qui riprodotte) e dei cui risultati, che saranno stampati e distribuiti ai visitatori, vi consiglio la lettura. Ci sono pure delle performances "dadiste" dove mi ci sarei buttata a capofitto.

Adesso aspetto le foto, i video, i post etc, e poi vedremo...

giovedì 19 gennaio 2006

La perfetta sconosciuta

Alle volte per lunghi, altre per brevi periodi, rifletto su quello che credo tizio, caio, sempronio pensino di me. E’ non soltanto una delle mie più grandi insicurezze (superata soltanto da una semi-posticcia mancanza di vergogna) ma anche una delle mie più grandi curiosità. Credo che non si completi mai il ritratto che ci facciamo di un altro: nel tempo le nostre opinioni possono mutare. Il nostro DNA caratteriale, quello che ci fa amarci e odiarci e che non muta mai, cambia il suo livello di trasparenza rispetto alla visione degli altri. Guardando gli effetti di questo riflesso nel comportamento degli altri possiamo ricavare messaggi o strade da percorrere.

Conosco me stessa? Quasi. Tutta? Hey, ho anche bisogno di un po’ di riposo...

martedì 17 gennaio 2006

Cinque tue strane abitudini

Ormai i giochini dei blog mi divertono a vari strati. In primis, esploro e controllo quanto hanno scritto gli altri, e già questo corrisponde ad strana abitudine. E mi domando (chissà che qualche guru di quelli in basso a destra me lo spiega… chiederò) perché il risultato delle ricerche, pur con le stesse parole chiave, è completamente diverso secondo il motore di ricerca usato. E’ l’ennesima prova e riprova che la rete, come la vita, non possiede certezze per il semplice fatto di essere inmateriale. Che le certezze, in piccola percentuale, stanno tutte e soltanto nell’uso continuo dei nostri sensi e del nostro cervello. Ma niente voli pindarici, ora. Seguo la chiamata del folletto che mi ha nominato. E riporto il ritornello:

Regolamento: Il primo giocatore di questo gioco inizia il suo messaggio con il titolo "Cinque tue strane abitudini", e le persone che vengono invitate a scrivere un messaggio sul loro blog a proposito delle loro strane abitudini devono anche indicare chiaramente questo regolamento. Alla fine dovrete scegliere 5 nuove persone da indicare e linkare il loro blog o web journal. Non dimenticate di lasciare un commento nel loro blog o journal che dice "Sei stato scelto" (se accettano commenti) e ditegli di leggere il vostro.

Quanto alle abitudini strane, la cosa mi ha fatto subito sorridere. Io ho diverse scale di strane abitudini. Dal bicchiere d’acqua fredda (ne berrei di più, ma sono una caffeinomane) appena alzata, al leggere al letto anche se muoio dalla stanchezza, da quale lato dormo, se metto o no la cintura di sicurezza, di che colore guardo i vestiti nelle vetrine, feticismi di biancheria, manie di ordine o di chiusure e rubinetti, liste e appunti sparsi nei foglietti, collezioni di taccuini o di vetri colorati; queste sono piccolezze, quisquilie. Dunque, eliminate le strane abitudini comuni, eliminate anche le strane abitudini censored perché strettamente private o popolarmente perverse, e siamo alla via di mezzo. Mi butto, va.
1. In tavola, ogni coltello di servizio che rimane in riposo sul piatto di portata va girato in modo da non presentare la punta verso nessuno dei commensali. Un coltello è un arma, e come in Borges, sa di poter essere utilizzata.
2. I commercianti sono obbligati, se provano a darmeli, a cambiarmi i biglietti di banca talmente consunti dalle mani su cui sono passati da sembrare carta da giornale umida e appiccicaticcia.
3. Appena arrivata alla spiaggia, scalza, vado a bagnarmi i piedi, e se la costa non fa schifo, assaggio il sapore dell’acqua.
4. Un qualunque dubbio sulla sanità di un prodotto commestibile, e lo butto, anche a costo di rimanere senza o di dover ricucinare tutto. Avendo un senso dell’olfatto ballerino, mi difendo distruggendo.
5. Leggere enciclopedie e dizionari; almeno una volta all’anno il dizionario medico. Non sono affatto ipocondriaca.

Non so a chi passare questo gioco, che ha quasi completamente esaurito il suo corso, anche nel mio blog-condominio. Vorrei che fossero i miei specialisti della blogosfera a rispondere, così seri e compunti. Ma non succederà... o sì?

Update: Il Capitano è salito sulla tolda.

lunedì 16 gennaio 2006

Effervescente blogosfera mondiale

Mentre nei nostri condomini girano le "cinque tue strane abitudini" che posterò domani, i geek forums, i monolocali, gli attici della blogosfera si scompisciano con questa incredibile barzelletta sulle bionde.... (non sono molto brava a capire le barzellette, io, ma questa...). Qui, qualche spiegazione.

sabato 14 gennaio 2006

I can't forget

Quando sono rinchiusa a casa e penso a tutto quello che potrei fare fuori, mi arrabbio. E come quando sono un po' giù per il motivo che sia, cucino. Se poi ho conservato una punta tagliata all'inizio della noce, che a pezzetti è andata per un'oretta nel pomodoro...



La lasagna

venerdì 13 gennaio 2006

Voci di donna

Questa mattina, svegliata da musica random nel lettore mp3, mi chiedevo: Ma chi è la vocalist dei Télépopmusik? Una voce che mi ricorda la morbidezza di certi liquori traditori, molto cremosi, a base di whisky o di caffé. Una voce che sembra andare così bene nei toni scuri che ti trascina con sé... E ricercando e trovando mi sono fatta una mia classfica di voci fatali, di voci di donne, che volevo condividere.

Angela Mc Cluskey (la vocalist dei Télépopmusik)
Jennifer Warnes (cantante in molte canzoni di Leonard Cohen)
Angela Gheorgiu (guardatevi il video, un pezzo di Madame Butterfly)
Nina Nastasia
Dawn Landes (per queste due ultime ho da ringraziare Daniele)
Maria del Mar Bonet (cantante catalana dalla voce strepitosa)
Esther Lamandier (medievalista)
Janis Joplin (devo commentare?)

Quante ho dimenticato? Sentiamo che ne pensate.

giovedì 12 gennaio 2006

Fame da lupi

Uscita verso le dieci, la mano tenendo stretto il collo del cappotto, tremando di freddo sotto lo sguardo tiepido del sole, ho issato bandiera bianca e andato dal dottore. I soliti paesaggi che guardo sempre mentre sono in movimento (operai sui tetti o sui ponteggi, i rapporti umani tra motorinisti, le espressioni delle persone intorno ai cinquanta, and so on) oggi erano mediati dall'estraneità del corpo provato da una notte da 400 colpi di tosse. Ma è bello arrendersi, sapersi dentro alla melmosa lucidità dei propri limiti, ricevere e scacciare pensieri smarriti, sentirsi così fragile da poter accettare qualunque abbraccio; ed in questa accettazione trovare un valore, volersi bene, proteggersi.

Il fonendoscopio è insieme terribile e carezzevole. Le sue ondulazioni, oggi, me lo rendono simile agli strumenti degli Inseparabili. Zitta, lascio che le mie oscurità dispieghino per lui tutto il loro apparato di percussioni e sibili dodecafonici.

- Antibiotici. - storco la bocca all'idea delle pasticcone che non tocco da anni - E cortisone. I bronchi sono contratti. E molto riposo.

Il mio dottore è troppo magro, lo vedo sempre più magro: mi fa un certificato con la sua scrittura da bambino, un po' inclinata, grande e rotonda, che mi piace tanto. Nel suo studio i campioni che gli lasciano i rappresentanti sono accatastati, ignorati. Sul tavolo, come grandi caramelle arancioni, blocchetti di postit marchiati con il nome di un antiemetico. Alle pareti, la laurea e tanti disegni del figlio, che lo ritraggono con il telefono o la tazzina di caffé in mano. E' la sua stanza tutta per sé, un po' supermercato, un po' rappresentazione.

Passa un autobus, e un altro, giù da vialone Emanuele Filiberto; ma voglio camminare, respirare il sole. Il bar all'angolo di Via Sannio ha un guardinetto interno con zona vetrata, e la vicinanza del mercato fa che il suo caffé sia ristretto e amaro quanto basta. Di fronte, due soli operai lavorano nei restauri quasi finiti della Porta Asinaria, la vera Porta antica di San Giovanni, che usciva ai campi, ad orizzonti immensi. Tiro fuori dalla scatolina rossa un diamante grande quanto il Koh-i-noor, che ho comprato in un negozio cinese, e lo appoggio sul tavolino di metallo. Rombi e frecce lilla arrivano sino al taccuino dove scrivo, pulsando insieme al viavai del sole. Mi concentro, chiamo a me tutte le immagini. E non percepisco altro dall'immenso animale che si muove continuamente nella città se non una gran fame, una fame di vita e di felicità.

domenica 8 gennaio 2006

Di più non bramo

Lottando contro la mia bronchite, che mi ha fatto non-dormire per un paio di notti, ho ripulito casa di ogni parvenza di Natale. Una escalation di pulizie, fino a sopra il frigorifero, dove ho trovato una Maglite che credevo persa.

Adesso, un bagno a 40° (circa, eh). Al profumo di pino.

sabato 7 gennaio 2006

La donna che sentiva passare i treni

Alle 4 e 29 mi sono svegliata con la sensazione di avere la stanza addosso. Scivolavo pesante come il cemento verso la testiera del letto, giù per una superficie di sabbia e di pietre. Lontano, un treno merci molto lungo si è lasciato dietro i semafori verdi della Stazione Tuscolana, risuonando con tutta la sua ferraglia mentre prendeva la curva verso la Stazione Prenestina. Lo sentivo mentre volevo respirare, ma l'aria rimaneva ferma un po' più giù della gola. Un dolore dimenticato veniva su con una dura tosse, un rumore tra le costole come quando si scarta una risma di carta per fotocopie e la si agita per far disperdere l'umidità. Ho tossito dunque, e il dolore mi tendeva una mano piena di vecchie immagini un po' amiche, un po' nemiche. Abbiamo traccheggiato per mezz'ora, lui volendo istallarsi da me come un vecchio compagno di scuola che arriva insperato e mi vuole raccontare tante cose; io rispondendo "quel tempo è terminato", finché il tutto si è diluito in una stanza dove ho letto - stiamo insieme in casa tua, nella tua stanza dalle pareti celesti, mi siedo sul tuo letto dove stai leggendo, anch'io ho un libro leggero, sorridiamo; naturalmente ci intrecciamo ma non stretti, cercando di rimanere a contatto soltanto con le articolazioni dei polsi e le ginocchia, e manteniamo l'intensità dell'attesa, di un desiderio non compiuto, una tensione intellettuale che trascende ogni possibile misurazione fisica o tentativo di definizione. Arriva la donna delle pulizie con cui ti alzi a parlare. Poi, quando torni, ti carezzo l'interno delle braccia ed è un ricominciare a disegnarci e inventarci, comunicando dai punti di contatto, come in un rompicapo di legno - poi un treno ha frenato lentamente, sicuramente un espresso notturno di quelli che attraversano il paese da Reggio a Milano. Nel silenzio assoluto ho aspettato che partisse, con l'andatura rassegnata degli espressi. Mi sentivo come se avessi dormito in una macchina o in treno, quel senso di precarietà, di mancanza di qualcosa, un letto, un abbraccio, cosa. E ho provato a respirare profondamente, contenendo dentro una cascata di vetri rotti e amori adolescenziali.

giovedì 5 gennaio 2006

How to disappear completely



Statale Pontina, tramonto, dalla macchina

Ad un certo punto la Pontina diventa dritta come un colpo d’ascia e punta verso Latina senza guardare nulla e nessuno. Né il mare nascosto dietro la pineta, né le montagne viola che vanno verso il sud. Nella ormai confusa pianura della bonifica, tra le fabbriche di medicinali e il bar della Tazza d’Oro, la statale va dritta verso il suo quadrato di formazione, la piazza centrale della città, e mentre passo rotonde e incroci immagino accendersi nel quadro le linee di avvicinamento come in 2001; supero una breve cintura di grattacieli e gipponi, parcheggio vicino al Comune, metto il foglietto – un’oretta basterà.

In mezzo al mercatino della Befana in piazza, i venditori di zucchero filato hanno il pentolone circondato da bottiglie tutte uguali di zucchero colorato in dieci o quindici tonalità diverse. Ci sono bancarelle sudamericane e di oggettistica varia, dai microfoni ai misuratori di pressione. Caramelle e cioccolata a milioni. Giocattoli cinesi in bancarelle enormi, da vecchia fiera, stipate di pistole, spade, camion, una fila di passeggini.

- Questa bambola, quanto costa, cosa fa?
- Questa? Parla, cammina, e sa fare il caffé e il cappuccino!

I marciapiedi di Latina sono di travertino. Sento sotto i piedi il calore che questa pietra sa assorbire dalla luce. E’ il lusso più assoluto, per noi romani adottivi abituati al crudo asfalto di marciapiedi imbrattati e sempre minacciati dai motorini. Ogni tanto una specie di U o un quadrato di granito nero o verde scuro. E in mezzo agli altri tombini, alcuni originali, con la scritta Littoria. Come tracce di un dinosauro.

Mi avvio verso Palazzo M, dove c’è una mostra sulle Città di Fondazione, piena di foto di edifici e insediamenti in zone paludose, impervie, carbonifere, isolate. Al di là del costo storico, questi architetti affrontarono il nulla e crearono, alle volte, edifici armonici. Le grandi foto riproducono le case e le piazze, i paesini che sembrano accampamenti, centri urbani da gioco delle bambole, alle volte strade non ancora asfaltate in mezzo ad infiniti pianori; il tutto sotto un sole impietoso, senza altri essere umani oltre a quelli che si riuniscono intorno alle chiese dei borghi agricoli, o che escono in bicicletta dal campo di calcio di Littoria, che sembra la città di Abyss. Mentre guardo tutto senza voler sentire le stentoree voci dei cinegiornali dell’epoca passate in video, la gentilissima – e bellissima - ragazza custode riceve un sacco di messaggi sul cellulare.

Vado via al tramonto. Mentre il rosa e il viola scivolano nel nero, ti vedo accanto a me, anche se non ci sei. Con gli occhi semichiusi ascolti Resignation, una malinconia con cui affronto la città che si avvicina. Le nuvole basse nel cielo riflettono il giallo delle infinite luci, là lontano.

- Va tutto bene?
- Mmh. Forse.
- E dunque?
- Vorrei avere anch’io un luogo dove voler sempre tornare.
- Ma ce l’hai!
- No. Soltanto tu hai un luogo dove vuoi sempre tornare. E’ qui, è questa macchina.

Taccio. Il semaforo-casello di Viale Oceano Atlantico è verde. I palazzoni intorno al laghetto sono illuminati a righe verticali, come grandi equalizzatori. Un traffico ordinato mi inghiotte. E vado piano, perché hai ragione: non voglio scendere, ma continuare, continuare, continuare...

martedì 3 gennaio 2006

Anti mish-mash per il 2006_2

Rimettere le mani nell'elenco dei link è un riordinare necessario, dopo più di un'anno di blog. Io non sono generosa, e nella mia lista di blogstar non conservo collegamenti chiusi da tempo, oppure quelli in cui l'autore scrive una volta ogni tanto, a meno che non si tratti di scrittori capaci (IMHO). Ma li lascerò ibernati, perché fanno parte della storia di questo blog.

Quanto agli altri, la mia lista "da leggere" è diventata mostruosa. La blogosfera si muove alla velocità dell'universo. Ogni tanto scopro nuove galassie... Se qualcuno mi aiutasse a fare (no, non ne sono capace), come Mr. Ludik, una pagina a parte per tutti i link che fotografano più nitidamente cosa sono, chi sono e forse anche dove vado, potrei considerarmi soddisfatta. Ehm... Hello, is anyone there??

Updated: metterò i link su del.icio.us, al più presto.

lunedì 2 gennaio 2006

The day after

Il giorno dopo Capodanno ancora non mi sono recuperata dallo spleen, dalla frutta candita, dall'ascolto di vecchi vinili degli '80 e di rockabilly, dal rammendare un pigiama cui sono affezionata e non riesco a buttare, dall'aver visto Zatoichi di Kitano (e aver pensato: dopo che ho visto anche Blood and Bones, mo' apro un fanclub di quelli sfegatati). Il giorno dopo Capodanno andare a lavorare è quasi un trip psichedelico, con le strade semivuote, i furgoncini che non corrono e non si appiccicano, i storni che come sempre passano sopra il raccordo in gruppi fluidi e lunghi come nastri, verso le campagne. Il giorno dopo Capodanno si può un po' surfare slowly, e trovare molte foto di treni, molte foto di aerei (via Loic e Tristan Nitot) e aeroporti, 1,2,3,4,5,6 e anche un po' di giochi (mentre leggevo perplessa dell'avvento di un cinese nelle vette dello snooker mondiale).

No, non mi abituo all'idea che sono ai blocchi di partenza di un anno nuovo tutto da inventare. Vorrei dormire ancora per un po', come lei...