domenica 8 marzo 2009

Oggetto di malinconia

Si mise a suonare la Waldstein, e fu preso dalla smania, il furore, la bellezza piena di energia. Poggiato sul pianoforte, su di un Blackberry aperto su Twitter poteva seguire gli aggiornamenti di lei; la vedeva aggirarsi per la cucina, in pigiama e vestaglia, mentre lottava con sé stessa su quando cominciare un lavoro di correzione che sarebbe durato tutta la notte. Le spalle, che tante volte aveva accarezzato, erano sicuramente alte nella tensione. Scrisse che beveva un thé, rimandando la decisione, e lui, gli occhi chiusi sul finale del primo movimento, sentiva l'odore affumicato del Lapsang Souchong, spegneva le luci dietro di lei, l'accompagnava per il corridoio in penombra fino allo scrittoio dove, sapeva, avrebbe accesso una luce dal paralume verde.

La mani di lei non erano per la tastiera. Erano mani per la terra e per modellare un cuore: il suo tocco apriva il sole, oppure lo chiudeva in una collezione di nuvole gialle e rosa su di un cielo così turchese da togliere ogni pensiero, da permettere la nostalgia; e così lui sognava spesso di poterle tenere tra le sue, e che poi si perdessero negli angoli e le ombre del suo corpo. Sentiva il momento in cui apriva una pagina bianca e si metteva a scrivere, e lo sbuffo di sempre davanti al testo.

Salì e scese un gruppo di note, fu deciso e poi morbido sugli accordi. Le dita cercavano e contenevano il motivo principale, che tornava e prendeva le forme di quella volta che l'aveva pettinata in giardino... Ora, quasi alla fine, sentii la sua assenza: tornavano altri odori, e la luce su tutto. Lei scriveva: "si sente mancare per l'assenza di qualcuno che ama. stasera sarà difficile sopportare il passo della notte". Lasciando incompiuta la sonata, si affacciò al balcone, a guardare le luci della città che tremavano come stelle colorate nelle sue lacrime.

venerdì 6 marzo 2009

Comunicazione di servizio_25

Blog temporaneamente paralizzato per manutenzione della qui scrivente, anche se ogni tanto mi affaccio al solito Twitter.

Nota per te che leggi ed improvvisamente, perché è ora di pappa, hai fame: La Montecarlo è veramente una pizzeria da provare (per poi adottare, per sempre). Esci e vai. Davanti a te passeranno frotte di studenti francesi e gruppi organizzati con la guida, coppie di danesi e famiglie che hanno lasciato il SUV sul lungotevere (bambini paralizzati e genitori che scrivono compulsivamente messaggi al cellulare ipertecnologico e parlano di incontrare a-s-s-o-lu-ta-mente Tizio o Caio altrimenti la cosa non decolla) e forse vedrai, nel centro di Roma, giocare a pallone due bambini, davanti, nel vicolo: e se chiedi loro di che squadra sono... beh.... I camerieri sono bionici come in tutte le vere pizzerie e rosticcerie romane. La saletta ribolle a tutte le ore del giorno di gente che parla, mangia, entra ed esce, e il rumore delle sedie e dei pesanti tavoli di legno copre ogni possibile conversazione seria: non andare lì a dichiararti alla tua ragazza, o per discutere di fisica teorica. Pensa soltanto che sei, più o meno, nel Colosseo della pizza di Roma.

E ti può capitare, come a me, di addentare la tua margherita mentre vieni osservato dalla foto di un bell'attore romano-de-Roma che mangia gli spaghetti...