mercoledì 28 maggio 2008

Domani non è più primavera

Una mano sul pomello e l'altra appesa al volante. Il traffico del raccordo è lento. Sono distratta da camioncini, Ducati rosse fiammanti, enormi autobus e Mercedes CLS nere che mi si portano via gli occhi. Dagli aerei che scendono su Ciampino c'è sempre qualcuno, lo so, che guarda questo mare con i suoi grumi di latta galleggiante entrare in un curvone; in quel secondo esatto in cui il mio volante gira all'unisono con altri cinque o sei io guardo in su, e resisto quei due tre secondi di rischio, di blindness, io in una direzione e l'immenso animale di latta che scivola sull'invisibile piano obliquo e mi passa sopra, mentre trattengo il respiro e non so perché.

Il caldo. Indefinibili montagne dipinte e tremolanti sullo sfondo di un cielo reso piatto come un cartone grigio da riciclato. Mi fermo a prendere un caffé alla Casilina Int, perché ho bisogno di vedere tutta quella materia umana condensata e densa che sta nelle stazioni di servizio, a tutte le ore; spazioporti dove non si fermano i normali, dove i baristi danno le piste a qualunque operatore sfigato di callcenter aggredito dagli umani, e i camion Minerva riposano a ranghi stretti, polverosi di terre e cementi. Non "non-luogo", ma ultraluogo, il buco nero dei luoghi della città.

Aphex Twin ci sta tanto bene. Una musica di paura, che mi segue nelle immense rotonde oltre le uscite che vanno verso la Tuscolana, dopo aver costeggiato la casa cantoniera di Osteria del Curato, dove qualche volta ci sono anche le bestie; in fondo, il parcheggio della Metro Anagnina come un lago vibrante di tetti di macchine mi inghiotte e mi risputa sull'asfalto ridipinto di giallo per la nuova viabilità degli scavi della Metro. Guardo due bionde identiche che scucchiaiano un frozen yogurt dentro una New Beetle che avanza lentamente. Finte distratte, gli occhi su ogni moto e su ogni Smart, e giù a ridacchiare. Le finestre, mi viene voglia di aprirle, di soffocare, pur di sentire che cos'hanno da ridere tutte queste ragazze con i sandali dorati, con gli occhialoni enormi, le magliette leggere, al braccio di ragazzi intontiti. Il loro tempo dove una volta abitai anch'io.

domenica 25 maggio 2008

Comunicazione di servizio_24

Se una esce come tutte le volte che può per fare una delle cose che più le piacciono, cioè girare a zonzo per le campagne e cittadine intorno a Roma, e dopo abbondante pranzo in agriturismo non riesce a raccontarvi un acca, è perché 1) dopo un po' di girare per le campagne etc i sintomi allergici arrivano a livelli di guardia e 2) i livelli di guardia si mantengono inalterati, non resta che dirlo: pazientate, o miei due lettori e tu, lurkerino dell'ultima ora. Ho un paio di bozze di post nel forno. Ce la posso fare. O che per caso non hai altro da leggere nel tuo aggregatore (sì, lo ammetto, questa è masochista)?

Altrimenti c'è sempre il microbloggin', dai. A presto.

lunedì 19 maggio 2008

Della sottile arte del resoconto



Tempio di Ercole Vincitore e due innamorati

Prima, il parcheggio in linea con il cipresso del Circo Massimo. Poi l'attraversamento di micro-oceani di persone dai polpacci pronti alla corsa. L'incontro con la banda. E poi ci si è avviati...

Ricordo la pioggia che cadeva come se il percorso di 5 km fosse diventato Colli Tempestosi. Due fisici che corrono e spariscono, più spaziotemporali di noi. Io imbranata che con un occhio avanti e l'altro sullo schermo della mia fida Olympus tentavo di fotografare il Tempio rotondo, e insieme mi sono entrati in quadro due innamorati. Il gruppo che si allontanava sotto ombrelli leopardati e impermeabilini celestino, verdino, rosso, su per via del Teatro Marcello, e che mi veniva una gran fame a pensare alla Pasticceria La dolce Roma, lì, a due passi. Passare a piedi per strade che percorro in macchina pentendomi sempre della mia velocità - e desiderando per un tempo inmisurabile di lasciare piantato lo squalo in un lato a caso di via Petroselli e andare a passeggiare per i lungoteveri - sentendo la forma dei sanpietrini sotto i piedi leggeri. Parlare della forza dei bambini e delle aspettative non soddisfatte: di come duole da grandi quella volta, da piccoli, che fummo traditi ed ignorati per la prima volta; del girovagare le domeniche per agriturismi. In fondo a via dei Fori Imperiali il solito, sornione Colosseo di sempre, con i soliti, sornioni e pancioni soldati e generali da foto per turisti. E i cortei di macchine addobbate come regali di Natale con dentro soldati e spose, e le volontarie della Race che fanno fuori pallet alti un metro di bottiglie di acqua (le guardo e le penso la sera, a cena, oppure all'uscita della doccia: "tesoro, lo sai che in un ora abbiamo fatto fuori cinque pallet di acqua?"). Palloncini e il caffé (o il Magnum, anche) della staffa, tutti insieme, in un silenzio che era come un giardino molto grande, e una domenica tutta per noi.

sabato 17 maggio 2008

A beautiful mind in a ordinary life

Sotto una bella cappa e un caldo percepito di 40 gradi, il gruppo della Race ha finalmente completato le procedure di iscrizione e di conoscenza delle persone reali dietro ai pensieri digitali. La capitana Evy ha scartabellato nervosamente tutti i suoi appunti e schede, c'è stato un gran valzer di volontarie ignare di come fare - e dunque abbiamo ondeggiato da "iscrizione a squadre" a "iscrizione online" a "iscrizioni" tout court - finché finalmente il nostro referente Komen si è palesato fisicamente e ha proposto una soluzione soddisfacente. Intanto io soffrivo dalla mancanza di caffé ma non lo davo a vedere, impegnata com'ero a sentire le persone nuove che arrivavano, salutavano, tentavano di abbinare un nick a un volto, trasparivano o non quell'emotività che esce fuori ogni volta che persone sconosciute, che si sono trovate affini per un tempo più o meno lungo, scambiano le loro prime parole, si studiano e misurano. Presi i zainetti e le magliette, decisi ad affrontare domani qualunque situazione meteo (ma intanto, più prosaicamente, si pensava a dove mangiare), Evy, Kiaura, Discanto, Keplero, Kika23, Giorgia, e Bryenh, ci siamo cominciati ad avviare, ognuno per la sua strada.

La macchina, come al solito in queste situazioni, l'ho parcheggiata a dieci metri dal Villaggio: mi sono avviata costeggiando Caracalla, pensando a perdemi mezz'ora in mezzo alle stradine e verso Santa Balbina, poi un caffé al Bar Brunori sentendo buona musica e scartabellando nei vinili... ecco, così pensavo mentre il mio squalo eseguiva obbediente il disegno delle strade. Ma non staccavo gli occhi dai ruderi. E così mi ha preso di nuovo il cuore il senso del tempo su quel terradisiena+una punta di rosso pompeiano che c'è dapertutto, una vertigine come quando guardo, in Castiglia, il cielo stellato e immenso dell'altipiano, e mi sono emozionata come sempre, perso ogni riferimento, fatto pure un giro a destra possibile soltanto a Roma e sono scappata verso casa...

[Update]: le foto sono aggregate qui.

venerdì 16 maggio 2008

Logical, oh responsible, practical

La giornata finisce. Sono avvolta da musiche televisive e sospetti di rumore dei pini che, in giardino, stanno aspettando la pioggia. Un aria ferma regna in casa, densa, roba che mi spinge al sonno, che anestetizza ogni mia emotività, fin troppo usata oggi nel proporre soluzioni, offrirsi come riferimento affidabile, snodare intrecci; senza che poi ci sia stato uno straccio di ringraziamento, di hai-ragione-tu, di non-ci-avevo-pensato. Alle volte mi sembra che ai miei sforzi, a quel risolvere offrendo ciò che mi sembra chiaro sia la miglior soluzione, non ritorni nemmeno un breve grazie - persino distratto mi andrebbe bene, mi alimenta - e invece resto lì come una bimba che vuole giocare e a cui si allontana perché c'è un approfondimento di qualcosa in televisione, e quella piccola ferita va e si amplifica sempre di più, sfocia come in me in un desiderio di venir presa sul serio, così spesso difficile in quanto corollarizzato da altre condizioni da rispettare che sono percepite come rocce e ostacoli: l'aspirante dunque al premio abbandona, vorrebbe una cosa più semplice, un grazie implicito o universale valido per ogni mio desiderio di conferma, ed eccomi come sempre a dare pugni al muro di gomma, senza nemmeno la convinzione di creare una minima ondulazione nella superficie che come un eco ne modifichi l'immobilità.

Chiudo gli occhi. Gli umani ripetiamo spesso errori banali, ci evolviamo lentamente. Per una volta, penso, non ti arrabbiare. Per un'altra volta, mi sento rispondere. Poi scarto un gelato e mi abbandono ad un piacere campagnolo, niente voli pindarici dei sensi, qualche minuto di assoluto oblio. Come fossi di Valium.

giovedì 15 maggio 2008

Dai mostri alle fiere

E' finito il ForumPA è per l'ennesima volta me lo sono perso. E vabbé che mi sarei presto trovata nel tourbillon, carica di buste e cataloghi di quei stand che m'interessano, che sono tanti, oltre ai giornali regalati e le riviste che poi mi tocca leggere tre mesi dopo, intontita dal rumore che purtroppo le strutture nuove non assorbono e rimpiangendo un buon caffé. Eppure i tentativi di fare qualcosa di diverso, di più "social" sembra ci siano stati, e anche se tentennanti perché il web 2.0 è tuttora una cosa di nicchia - anche per le imprese etc che lavorano a contatto con la PA - mi sono intenerita un po' vedendo la Creativity Room, ambiente troppo grande e tavolini da GrandHotel per un modo di "lavorare", pensare e condividere che secondo me ha bisogno di spazi più a misura di gruppo; ho apprezzato lo sforzo del portale, che come tutti i portali è un po' stracarico di informazioni ma con pazienza si trova tutto; per non parlare della possibilità di commentare, il twitter dedicato (la prima volta e si è notato, difficile tenerlo aggiornato quanto noi comunicaholics facciamo con il nostro..) e soprattutto lo sforzo indicibile di Stefano Corso e il pool di fotografi che ha fatto più di 300 foto al giorno uploadandole su Flickr quasi subito e offrendo così a chi stava fuori un senso di partecipazione e di freschezza.

martedì 13 maggio 2008

Mascherina Delaire tempestata di strass

Sarò una dei pochi a cui non viene un frisson gelato quando deve andare dal dentista: perché lui è il solo che può ricostruire l’integrità affollata del mio sorriso, o distruggere Mr. Tartaro, il cumulatore di calcare. Mentre aspetto nella saletta con i divanetti coperti da tessuti tipo chintz, sfoglio distrattamente non le riviste standard degli studi dentistici, ma i suoi cataloghi di materiale medico ortodontico, mimetizzati nella libreria: dai barattoli di anestetico agli strumenti di tutti i colori e finitura di punte che servono ognuno per un lavoro microscopico, alle spazzole e le cannule e i gommini e i paradenti e le tronchesi e le pinze e le viti di tre cm. E dopo che ho visto questo, una pulizia dei denti è una passeggiata. Chiudo gli occhi, mi levo gli occhiali e tento di non riaddormentarmi mentre lui e l’assistente vicinissimi e mascherinizzati scavano nei colletti dei molari e ogni tanto mi mandano un gettino d’aria tra gli incisivi, con la scusa di togliere qualche granello, per farmi sobbalzare.

Adesso ci vorranno due giorni di acqua a temperatura ambiente e caffé id., in attesa che i denti ridiventino insensibili. Perché domenica c'è La Race, un idea di Evylyn cui io ed altre coraggiose bloggher/twitteresse abbiamo aderito (sperando di non cominciare a pant-pantare dopo dieci metri di semplice camminata) nella quale sfoggerò il mio sorriso detartarato in segno di solidarietà e di speranza...

domenica 11 maggio 2008

Invidia crepa fortuna assistimi (scritta su un sacco di furgoncini e camion)



Ceri, facciata di un palazzo con stemma dei Torlonia

L'Aurelia non è la Regina Viarum. La immagino nell'antichità, odiata come una tangenziale, subito buttata in campagna senza locande né boschetti. E non c'era alla partenza la freschezza dei platani di viale Giulio Cesare, alti otto piani: da quelle parti solo qualche casetta, poveracci cui buttare qualche monetina o che i servi scacciano mentre si dormicchia, rassegnati. Radi casali, refoli di iodio, la prospettiva di una lunga, noiosa marcia.

Invece adesso l'Aurelia m'inghiotte nelle due corsie, intravedo a malapena i giardini delle case generalizie di ordini religiosi, casette brutte a quattro piani, cartelli di alberghi che stanno in mezzo ai dedali di strade interne bucate come una grattugia vecchia, concessionari ribollenti di gente che tratta compravendite in privato, piscine vuote messe lì in mostra e torri dell'atra tensione. Collinette ex-seminate con in cima enormi balle che mi andrebbe di far rotolare giù. Lente discese in cui slalommare perché da destra s'incorporano senza pietà altre macchine, i SUVvoni, i motoroni che bevono il vento a zigzag. Di spora scendono inesorabili gli aerei su Fiumicino. Su tutto, una gran cappa. Le cellule delle mucose rinofaringee stanno sull'attenti: non succede niente. Ok, allora si può salire a Ceri.

E ' una stradina grattugiata, con buche come bagnarole, incroci con cartelli così illeggibili che mi viene voglia di perdermi e al fondo una pineta piena di odore di brace e di autoabbronzante, un barcamp de noantri, 0.1. E dopo aver fatto le venti manovre standard dei miei parcheggi, ecco le mura tufacee del microborghetto, cui l'occhio geologo si deve soffermare, mentre io invece do' fastidio ai ragni nascosti nei loro imbuti di arenaria, fingendomi una moschina caduta nella trappola (mentre invece impugno uno stelo). Dall'alto si sta comodi come in una casa sull'albero, e quasi ugualmente isolati. Il semaforo che regola l'accesso al bordo, monocorsia, va dal rosso al verde con la stessa pigrizia di quello di Radiator Springs.
Ancora in mezzo alle traiettorie - mi dico, affacciata sui boschi circondanti - come una briciola di atomi senza consistenza. E quanto è difficile incrociarsi, adesso, scambiare un sorriso, un opinione -

La domenica scorre nel ritorno più velocemente degli orologi. Quando l'Aurelia finisce comincia la Calcutta di pedoni impazziti e passeggianti, di sporcizia nascosta e ponteggi arrugginiti, di meravigliosi balconi sulla Flaminia abitati da immensi condizionatori. Arrivo a casa e chiudo gli occhi al buio, mi ricompongo - e lascio che l'ultimo sole cada sul caffè appena fatto...

venerdì 9 maggio 2008

Affabulazioni, spartizioni, involuzioni

Qualche mese fa passavo da ogni strada di SGiovanni-Tuscolano e c'eran sempre gruppetti di pizzardoni che guardavano pigramente il traffico, impugnavano il loro walkietalkie misura mattone a mo' di spadino, si spostavano ridacchiando con i colleghi in gruppetti da cinque o da tre, come fossero ancora liceali, multavano macchine e macchinoni lasciati sulle strisce. I pedoni non attraversavano in mezzo alla strada e le doppie file erano mezze doppie. I cellulari erano poggiati sulle gambe dei guidatori e si fremeva, rispondendo in vivavoce: "aspetta, ti richiamo, aspetta, ci sono i vigili".

Ora tutto è tornato come prima. Macchine a pettine in terza fila, pedoni che ignorano palesemente i marciapiedi invasi dai motorini e ti vengono incontro con passeggini o carrelli della spesa guardandoti soddisfatti perché hai i capelli rizzati come fatti col gel. Motorini che schizzano come fuochi d'artificio.

Qualche pizzardone è rimasto a presidiare i grandi incroci, ma spesso guardano in altre direzioni rispetto ai flussi velocissimi, senza notare quelle macchine defilate, a destra e rallentate, i cui guidatori ridacchiano o gesticolano con il cellulare all'orecchio. I motorini passano col rosso - la testa alta, ebbri di aria fresca - mentre i nostri, ancora in divisa invernale, confabulano con i colleghi dentro le macchine, ascoltando non so quali messaggi da centrale o scrivendo in fogli misteriosi. I furgoncini suonano il claxon così vicini al parabrezza posteriore che non serve il LHC per accelerare i nostri, di protoni.

Ecco allora. Finita la primavera. Aperti i grataccheccari... Nun t'arabbia', Mari'. Annamo al mare...

giovedì 1 maggio 2008

This side up

Se tossisco, in mezzo al traffico della Nomentana - e per un momento chiudo gli occhi e ricordo Bukowsky che ben sapeva essere lo starnuto un momento di sommo pericolo alla guida -, con una tosse da BPCO che oscura ogni battito dei PlanetFunk che tengo sparato dalle finestre, in un tentativo iniseme di risveglio e di ribellione ambivalente al dover effettuare un giro qua e a destra dopo il semaforo di là come tutti i giorni e giù fino al lavoro oggi-che-non-mi-va, è sicuro che rischio di infrociare, di cadere; vado con il naso per aria a guardare nuvole confuse e nere, ignorando i claxon e quei desideri che soggiacciono sotto la pelle, senza nome, volontà quantizzate come un coltello che dorme in un cassetto e non sa se mai taglierà, nè cosa.

Un silenzio, la Nomentana la mattina, in una fila lentissima dal Raccordo: come se ogni consolare fosse un film, qui però senza sonoro. Ai lati crescono malerbe di cartelli di surgelati e manicure, di B&B e tutto per il party, di cabine erotiche e pasticcerie napoletane. Sotto le ruote destre le radici ribelli dei pini. E dapertutto l'aria fine della primavera inoltrata, fattasi grande subito chissà per quale esperienza di temporale, che ha spinto da sotto gli steli di tutti i seminativi, e carezza lieve un gregge stazionante e brumoargilloso tra l'uscita 12 e la 11.

Niente claxon allora. Le facce dei guidatori davanti stanno incollate agli specchietti e mi fissano come quelle dei delfini quando strisciano sull'acqua all'indietro. In alcune restano filamenti di un'umanità primitiva e sfuggente che bevo come fosse una rugiada. Ci separiamo nelle rotonde, come galassie schizzate, lasciando in mezzo una materia scura fatta di tutte - penso - di tutte le possibilità di amore.