lunedì 17 dicembre 2007

In troppe faccende affacendata



Siccome arrivo sempre a quest'ora e mi restano pochi spiccioli di energia, ecco, mi risparmio un po'.
Siate felici, in qualunque modo, ovunque.
See you all in 2008...

mercoledì 12 dicembre 2007

Etciù3

Fa freddo. La macchina è rimasta in garage, a secco. Vedo le immagini delle file di camion e mi dico che stavolta mi ha detto male: la precedente avevo il deposito pieno. Invece oggi sono andata at work con i mezzi, beccando un sacco di freddo ma potendo sedermi e leggere il mio ultimo Murakami preso alla biblioteca del Pigneto, in cui il nostro sembra più fresco che mai di traduzione di Carver, tanto gli somiglia nei racconti, ma anche molto determinato nei suoi temi principali: siamo esseri in balia del caso - nel bene e nel male - ma questa coscienza deve essere zen, senza passioni; stare sempre attenti a tenere l'intuizione ben accesa e seguirla senza far partire fuorvianti ragionamenti; mangiare è un piacere, anche se è un solo caffé con pane tostato; and so on. Una tramontana intensa e la mia solita incapacità di fare quello che mi è utile mi ha fatto venire anche un bel raffreddore. Uff.

Ho sbirciato dai vari Wikio notizie sparse di LeWeb3, un evento ormai consolidato come supertecnico, ma anche molto "tech-business", e ben organizzato. I nostri corrispondenti-blogger quest'anno sono stati probabilmente inchiodati a sentire i vari speech più che a postare o twittare (fanno eccezione Luca, Alessio Jacona, ma sicuramente anche altri), perché c'era la diretta streaming, e twitter dedicato. Aspetto adesso a leggere cosa c'è stato di nuovo nella Grande Conversazione...

Intanto, provo a tenere aggregato tutto.

lunedì 10 dicembre 2007

La grande bouffe2... o una specie: PiùCena

La Colombo è come al solito un nastro semi-natalizio di luci rosse e bianche, di notte, e girare la piazza dell'obelisco è forse un piacere sconosciuto ai più, visto che è l'unica che conosco dove non c'è bisogno di ribadire in tutti i modi romani (occhiatacce, gesti inenarrabili, furibondi claxon, ignobile avanzamento fino a che l'altro inchioda a due mm dalla portiera destra) la precedenza. Ora il parcheggio, dai famme trova' uno facile mi dico, e giro due volte Piazzale Kennedy, intravedo capannelli fuori sotto la luce arancione (gemella di quei lumini da chiesa che illuminano le strade): ecco un po' di gente emozionatallegralcolica, subito saluti e risate, tante facce nuove, foto di già, Maxime che offre con quel suo fare timido (mentre agli angoli delle labbra affiora un sorriso cyranesco) magliette gigantesche di non so quale Old Barcamp (e la mia, sob, l'ho persa); Samuele nel ruolo del conduttore delle masse porta una folla di bambinelli cresciuti verso il Tatà: fotoricordo di gruppo, capannelli e commenti nell'attesa di entrare, Marco serafico con la sua Wonder dagli occhi luminosi, Brassy con quel suo maglionescialle, Ermanno che sembra un ideale fratello maggiore.

In un angoletto si preparano i rituali tag di cartone - Estroversa ai pennarelli e il sorriso che non se ne va mai - che l'Epifani-prof distribuisce mentre in una recondita stanza del suo cervello accademico collega blog a facce, Zoro e Mae e Svaroschi perennementi sorridenti dagli occhi; e altri tanti di cui non so il nome, di cui non so niente, eccoci tutti qui: nemmeno una moto da sfoggiare o il modellino teleguidato fatto a mano, solo un blog, una parte di noi.

La cena: beh, lasciamolo dire a Marco. I tecnici tirano fuori computer e palmari, telecamerine, microfoni. Le foto? Fatte dai tre caballeros (and other folkz). Ridere? Basta lui. Continua la conversazione? Con loro. E gli altri? Alla prossima BlogBeer, perché non sono riuscita a parlare con tutti.

Parole. Io non amo parlare molto, bensì ascoltare e intuire, e tacere alle volte. Ricordatelo: grazie a lui, e a lui prima, per l'anno scorso. Nella notte, di ritorno a casa, a loro pensavo. E a color che non sono stati con noi per vari motivi. E a noi.

P.S.: Quanto al PiùBlogCamp, di cui non mi permetto di parlare, leggete qui e/o qui, e/o qui.

sabato 8 dicembre 2007

La grande bouffe



Foglie, fontane laterali

A me non piace passar per intellettuale. Sono una divoralibri compulsiva e ciò mi mette, mi classifica direi, tra i malati di qualche tipo, cioè tra i normali. E allo stesso modo mi piacciono alcune architetture, mi danno un senso di appartenenza: il Palazzo dei Congressi è una di queste, con tutto il suo marmo, il porfido nero, gli ambienti razionali, i grandi finestroni, i pannelli di Severini, il legno alle finestre, il bar con i mosaici.

- Un caffé l'ha chiesto lei?
- Due, uno macchiato.
- Questi occhiali sono i miei? (un paio di occhiali leggeri sono posati sul banco)
- No, i miei.
- Ah, ecco i miei dove sono (appesi al collo).

Sorridere. Girare il cappuccino con una minipaletta: attrezzi monouso per quando ci sono le fiere. E non è bollente come lo volevo. E vorrei sedermi a mangiare un'insalata, ed essere servita, per una volta, monouso anche qui.

Al secondo piano stanno editori che non avevo mai visto né letto. Libri che parlano di Roma, raccolte di inediti, stampe alternative, racconti per bambini delle editions du dromadaire. E fa caldo. Due famiglie mangiano i panini portati da casa nella borsa termica. I ragazzi degli stand, pizzette e panini, nascosti nelle scale interne, con lo sguardo perso - spenti per qualche minuto. E poi via. Le loro scatoline per i soldi delle vendite, tutte diverse. La gente che passa e prende i cataloghi. Prendere è il movimento compulsivo del visitatore. Il catalogo come simbolo del rimandare. I collezionisti di segnalibri.

Sulla ringhiera esterna delle scale dell'atrio c'è una Babele di fogli e dépliant sui quali ci si appoggia per telefonare. Le nuvole di fuori si squadrano velocissime, blu e rosa, dietro ai finestroni. Mi fermo un attimo a scrivere, a fissare queste sensazioni. I serpenti del Bioparco dormono sotto le calde alogene allo Spazio Ragazzi. Tante orchidee e nessun odore. Le buste, cumulate in una, mi pesano sulla mano. Mi siedo a sfogliare un desiderio, tra i tanti di questa editrice. E poi vado, nel momento in cui la ressa diventa insostenibile.

L'aria fredda, fredda, fuori. Vedo degli occhi belli, le mani nella mano di tanti ragazzi, i paltò delle anziane: come tanti animali verso l'arca del leggere...

venerdì 7 dicembre 2007

A domani

Non credo servano molti link ormai, al megaraduno librario e piccoloeditoriale, con appendice web 2.0.
Ma è doveroso ricordarlo, anche perché penso che passerò parecchio tempo annunsando la carta appena stampata, croccante, lucidata.

E, ciliegina sulla torta, si va anche a cena (vedi in basso). O tu lettore distratto, parteciperai, vero?

martedì 4 dicembre 2007

Ambo e terno su tutte le ruote

Trovare di questi tempi qualcosa che costi meno di mezzo euro è per me quasi un'allucinazione. E se questo oggetto è una matita non straniera e di buona qualità, una HB dalla mina versatile che non graffia la carta, allora posso anche dimenticare che davanti a me ci sono trecento persone, o almeno così dice il mio numeretto; è tardi. Forse delle trecento persone almeno duecento stanno qui dentro l'ufficio postale, le altre stanno sedute fuori o in giro in cerca di un giornale o di un caffé.

Fa calduccio negli uffici postali. I bambini possono correre un po', i grandi rovistare nel negozio interno, sbirciare un po' i libri e vergognarsi di aver rubato un po' di pagine di lettura, ricostruire pezzi della propria storia davanti ai cd di Mina o di Battisti. Gli sportelli come bocche da forno inghiottono carte, denaro, numeretti, espressioni, sonno arretrato, fretta. Il bip di passaggio dei numeri negli schermi elettronici è un mantra che tutti seguono con una coda di cervello, mentre leggono il giornale, telefonano, chiacchierano in napoletano stretto sulla cena di stasera, scambiano sguardi che sono parentesi quadre di altre parentesi di pensieri o di emozioni chiusi come polvere, adesso, negli angoli della giornata.

Corro fuori a controllare la macchina, la sposto. Passeggio fino al bar per un caffé tardivo e mi sfila davanti una fila di persone che, mentre lo bevo, compra cioccolatini dall'aria buonissima, messi come per caso davanti alla cassa. Affronto i pixelink appoggiata al distributore di modelli per ogni transazione postale. La matita è così docile. Alla fine il mio numero lampeggia sullo sportello: dentro c'è più luce, tutto è più chiaro, razionale forse. Forse. Movimenti automatici, tranquilli. Coloro che restano guardano il tabellone, tenendo i loro numeri come se fossero buoni di razionamento, pregando che non si chiuda senza di loro...

lunedì 3 dicembre 2007

Sono serissima, sono ancora serissima



Tramonto sull'A24

Sempre sulla stessa strada mattina e pomeriggio. Una catena di montaggio in cui i bulloni e le ruote dentate sono le nuvole, la luce, i movimenti delle solite, petulanti cornacchie abitanti della Cervelletta. Albe e tramonti, alberi coperti e nudi, incidenti e file, la solitudine del dopo ferragosto; fermarsi sulla corsia di emergenza maledicendo la propria, fedele macchinetta digitale, che non riesce a cogliere questa moneta gigante di metallo fuso, questa luna arancione dai contorni talmente nitidi che devo perseguitarla fino alle volute più alte della tangenziale, sospesa sotto un cielo grigio e rosa talmente vicino che mi sembra di toccarlo dal finestrino, e toccarlo sarebbe come sentire la pelle sfiorare un'altra che non si sfiorerà mai. Le case di via Igino Giordani le cui piastrelle assorbono i colori delle stagioni. I casolari abbandonati dietro recinzioni metalliche, sopra prati ben curati. L'odore di caffé dalla Camerino. Le pecore che pascolano i maggesi in autunno, mentre il pastore sta dentro una macchina, in mezzo alla terra dorata, in mezzo alle pecore immobili davanti al tramonto, e telefona dal cellulare.

Un ricamo della propria vita rimane sottinteso nelle strade che si percorrono. Fiumi di pensieri e di emozioni, le volte che cantiamo o vorremmo strillare a qualcuno, quei visi che ci incrociano e rimangono fissati per poi apparire nei nostri sogni, carichi di significati indossati come gioielli surrealisti. E parcheggio osservata dal cielo blu prussia, attraversato incessantemente dal faro davanti degli aerei che scivolano verso Ciampino. Qui, sempre più vicino, l'edicola s'inquadra da sola, da settimane, da quando - e il flusso di pensieri mi si sfalda.

Nochenonpuoi farlo, te lo sei detta centovolte, non finire come le nonmiarrendo, attonita davanti ai fermagli e i brillantini, le barbie e le magliette strizzate, i cofanetti del trucco. Nononpuoi farlo, nonl'hai fatto prima non lo fare adesso, eppure mi piace, eppure all'inferno -

- Mi cambia queste due monete per un euro? E' per un pupazzetto - chiedo all'edicolante, che suda tutto storto tentando di cambiare una lampada fluorescente di circa due metri. Il suo sorriso, io lo conosco. Dice: Alla fine l'ha fatto. Eh sì, mi ci vede passare davanti tutte le sante mattine e tutti i santi pomeriggi. Pensa: Ma quale pupazzetto. E' per lei..

Eccomi sto coso come funziona? Occavolo fai che non passi nessunochemiconosce tiprego. Giro la manovella ed esce l'ovetto con dentro una bustina rossa e dentro ancora una micro Pucca tutta seria. Veloce va nascosta nella borsa, e di corsa a casa. Mi sento come una bambina, e dunque né intelligente né idiota, che sente continuamente, perchè è anch'esso strada, il tempo e lo spazio; e che ogni tanto si ferma, con un pupazzetto in mano...

sabato 1 dicembre 2007

Don't get sentimental

Troppe Audi. Troppe macchine nere con dentro tipi con occhiali bianchi o belloni o chissà, forse affittate, con i vetri neri. Non le voglio questa mattina in cui parto come per una cronometro per la spesa sabatina, tappe diverse in quartieri diversi alla ricerca del pane odoroso o della stecca di vitella per il brodo, e guido stretta in mezzo ad una ragnatela di sogno ancora fresco, un bozzolo che m'immalinconisce. Entro ed esco dalle mura antoniane* circondata da un vento umido, la voce di Thom Yorke che scivola sopra i bassorilievi, uomini e donne fermi sulle facciate con in mano squadre o bilance, con accanto o sotto cornucopie e conchiglie, le decorazioni delle belle case borghesi. Le strade vuote, con soltanto qualche corridore ben coperto; il sole che passa dai parabrezza degli autobus, squadrato lì ed enorme, agli specchietti delle moto parcheggiate, inconsapevoli di contenere un poligono di cielo.

All'incrocio di Ponte Marconi un venditore di accendini e ArbreMagique assiste seduto, dalla base di un lampione, ai duelli istantanei di coloro cui non piace fermare la propria traiettoria. L'immobilità sua e la mia entrano in contatto senza toccarsi, me lo porto nello sguardo oltre gli incroci senza indicazioni dove di notte mi perdo, a volte di proposito, dove ho paura perché la città finisce e si entra nel buio delle consolari; ma gli occhi vanno ai ciclisti da sorpassare, coloro che poi sulla Colombo prendono la pista ciclabile nuova di zecca che quasi quasi va a finire al Gazebo bar accanto al cantiere di Piazza dei Navigatori, il cui caffé non ho tempo di assaggiare mai.

Mi rendo conto che sono le undici: i nonni sorgono dagli angoli delle strade con i passeggini, i pedoni attraversano con il loro pezzo di pizza in mano, o il cellulare. Improvvisamente onde bianche di furgoncini si riversano per le strade. La mia macchina è piena di buste di plastica, odore di mandarini e di pane di segale. E l'inverno c'è, lo so bene. I platani di piazza Vittorio sono come mucchi di spezie, curcuma e cannella fresca. Scendo i vialoni con il sole che mi acceca, mi attardo nei semafori non sincronizzati, armeggiando con il lettore mp3; lascio passare le moto più belle, le moto nere...


*Hai ragione, mio sorpreso lettore. Prima di smarrire una sinapsi, volevo dire "aureliane".