lunedì 26 novembre 2007

I'm a techie, i'm a little techie

Di solito non ne parlo molto qui - non essendo una techie, bensì una scribacchina - ma tento sempre di imparare qualcosa o di seguire l'onda Web 2.0 che gira nei paesi cui conosco la lingua abbastanza da poter leggere resoconti e raccogliere spunti e idee. M'interessava molto, e un po' mi ha fatto rosicare, l'EventoBlog07, durato tre giorni sani, gratis per tutti gli iscritti, e con soprattutto interessanti interviste e giornate di lavoro. Qui, prendete nota, la foto di tutti.

E una delle cose che più mi hanno colpito - e che mi facevano pensare a una box in macchina mia, sul cruscotto, vicino alla radio o al contagiri, con tutto il movimento e il "momentaneo" dei miei follow di Twitter; sono sicura che cose così ci saranno, in futuro - è l'utilizzo di Twitter fatto da Enrique Dans mentre intervistava Mr. BizStone in persona: le domande, dei followers e non, dal suo Twitter sono state lette e smistate tramite il suo Blackberry e, in tempo reale, proposte all'intervistato. Se non è microblogging questo, cos'è?

Ora, se qualche real techie vuol fare lo stesso al PiùBlogCamp, che si annuncia come "il riepilogativo di un anno di Camp", non sarebbe male. Almeno i campers non de noantri potrebbero partecipare...

mercoledì 21 novembre 2007

Appunti usciti dalle tasche

Niente Tumblr, per adesso. Questo blog rimane un mio blocchetto fatto di foglietti sparsi nelle tasche o sperduti nella borsa, pezzi di paginette sfuse come quelle che - non è capitato qualche volta a te, o lettore? - possono un giorno fermarcisi davanti: ecco una lista della spesa di non so chi, trovata per terra, la scrittura che tradisce fretta o concentrazione - se va verso l'alto è ottimistica oppure lo scrivente era storto/a o di corsa, se va verso il basso era in giornata nera -. Ma su di una cosa si può essere d'accordo, è che trovare delle liste o delle lettere per terra o delle note manoscritte di qualunque tipo, a me almeno, lascia come una tenerezza, come un senso di vicinanza umana che soltanto lo scritto a mano può trasmettere, un tempo fissato lì che per caso mi si ferma davanti e c'è da qualche parte un muscolo emotivo che fa crac, e vorrei sapere qualcosa di colui o colei, e allo stesso modo ma non per lo stesso motivo - perché so molto di me - fatico molto a rompere i miei appunti della sera tardi o della mattina presto, le maiuscole storte e le minuscole illeggibili, animaletti arruffati e miei come le impronte digitali...

Insomma, via co' 'sti appunti:
Un blog in romanesco (e dopo andate a visitare i links)
Una mostra curiosa e sicuramente interessante (via Nova)
Un concerto che non vorrei perdermi, ma - ma - (per i Trabant)
Una cena e un Camp importanti (via PiùBlog)
La pagina delle BlogBeer (mettetela nel lettore di feeds)

E... sì, ciavevo artro da di'... è che nun me ritrovo er fojetto...

venerdì 16 novembre 2007

Avvicinarsi al sciogliersi



Arcobaleno, Tangenziale est

Le gocce cadono sul parabrezza così violentemente da lasciare come delle code. Per un secondo si trasformano in piccolissimi gabbiani fatti d’acqua, poi scoppiano in fuochi d’artificio rossi e verdi o gialli e bianchi, a secondo se passano i motorini o come si accende il semaforo. E il tutto si scioglie dietro il vetro, mentre io leggo ilSole le cui pagine rigate da gocce amebiche, ciliate, mi spariscono quasi sotto gli occhi; ogni tanto l'orecchio percepisce una scia d'acqua e una macchina scivola, vernice rossa-vernice verde. Non mi concentro sulla tecnologia, le belle, speranzose parole sul futuro mi scivolano in gola allo stesso modo delle gocce, la mia gola gialla come gli alberi tutti ai bordi delle autostrade, il loro lutto biologico nascosto dietro alle spallette in cui l'erba brilla risuscitata dal feroce taglio di quelle macchinette che baraondano come tafani meccanici. Non mi concentro eccetto sul tempo che s'inumidisce, sulle ombre umane gravemente ricolorate dall'oscurità che avanza, mi passano vicino, le loro facce belle storte come in centomila Bacon.

Di solo la pioggia posso dunque parlare. Quel raccogliersi sotto le nuvole ribelli, che strillano un arcobaleno sull'ingorgo infinito che spesso, non so come, mi evito: vado dall'altra parte, al contrario, nell'altra sponda, diversamente da tutti, forse lontano. Ma no, vicina alla carezza a te. Così rimango.

domenica 11 novembre 2007

Porto un anello al dito



Parco di Aguzzano - Amori incisi sulla corteccia di un albero bruciato

La domenica Roma ha facce diverse. Dipende dove sto, cosa faccio della mia giornata: se me ne sto sotto le coperte, convinta di non valere nulla, o se brucio dalla voglia di prendere una strada qualunque ed andare a naso in su e macchinetta tascabile pronta, fin dove mi porta la mia macchina. Fare 30 km la domenica senza uscire dalla città non è come farli nei giorni feriali, non è come farli altrove. La città è fatta di tanti paesini ai lati di quelle cerniere lampo che sono le strade alberate: di qua soltanto pini, quaggiù soltanto platani, più in là le robinie, e di colpo sto in campagna, costeggio su stradine ripide i muri di cinta di villoni invisibili, scivolo sulla Gianicolense che non è una strada ma una carezza che curva il volante, affronto l'attraversare continuo degli avventori di PortaPortese presidiata ai lati dai vigili, finalmente regolamentata dopo anni di anarchia; guardo gli exvoto murati di viale Trastevere, le persone che passano Ponte Sublicio trascinando megatrolley con cui chissà cosa porteranno in viaggio.

Pantaloni jeans poggiati su una ringhiera, lenzuola colorate appese sopra facciate grigie. Ecco il quartiere dei filosofi, con le strade che rimbombano di nomi alla base del pensiero moderno, i suoi palazzoni senza negozi, senza un bar dalle insegne colorate, con le macchine nascoste nei garage sotterranei. In un angolo defilato di una biforcazione c'è un uomo che raccoglie le olive, le reti a terra sotto gli alberi, le cesoie in mano. Intorno, strade a scorrimento veloce circondano pezzi di verde, colori che stanno solitari sugli alberi, affamati di occhi: colano come lacrime macchie gialle e bronzo, mucchi di foglie. La mia mezz'ora di silenzio, in mezzo a casali rosa diroccati, balle di fieno messe a guardia di orti nascosti, messaggi d'amore incisi negli alberi. Poi di nuovo sulla strada, lasciando dietro gruppi di persone che sono uscite da chiese e pasticcerie, imbarazzate, pensierose, affamate: sulla minitangenziale che sfocia nella Tiburtina, l’altro rettilineo a kilometro oltre alla Tuscolana; mi vengono incontro gli storni, e sul ponte, sopra il progetto di Desideri (che bel nome per un architetto…) il cielo si apre, accende tutte le facciate, alza il volume di tutte le musiche, mi incolla il sorriso da cittadina...

sabato 3 novembre 2007

Lavoro scollegata

Mentre guido col naso in su anche in questo pomeriggio, ignorando un po' i claxon degli impazienti, scendo dalla Tiburtina quella cintura bassa dei jeans della città che è Via Palmiro Togliatti, verso l'isola ecologica. Un pezzo di corpo urbano con pelle nuda di campetti a maggese, tatuaggi di quartieri e piercing in successione fatti di autodemolitori; alberate che schizzano via nella prospettiva veloce della macchina, l'acquedotto frontiera tra Prenestino-Centocelle - dove i benzinai sono di più che altrove e si lotta armati di millesimo di euro al litro, e le case basse sembrano fatte con Lego di colori pallidi - e il muro discendente dei palazzoni del Tuscolano avvinti all'ombra del cupolone razionalistico di San Giovanni Bosco. Mi passa sopra un fagiano, scappato da chissà dove.

Io lo so: quando arriva novembre il cielo cambia pelle, si disfa a scaglie, nasce e tramonta senza tanti colori e la notte mi cade addosso. E mi sento un po' trasparente, sento i giorni che mi passano attraverso lenti, come una corrente dimenticata. Butto vecchi cellulari e una segreteria telefonica. Nei container c'è di tutto, roba in cui le vite si sono concentrate e disseminate. La segreteria ha contenuto la tua voce.

In me tu sei passato. Abbiamo riso insieme. Presi caffé. Abbassato gli occhi. Discusso in completo silenzio. Odiato l'altro. Sentito un'elettricità a cui avremo voluto cedere. Spesse volte, adesso, sento la trasparenza di questo tuo passaggio, amore che è stato come scritto, non vissuto: rimasto in alcuni oggetti, in testi scribacchiati, e soprattutto nella notte sorella, con i suoi sogni tutti del viso tuo. E mi prende una non-sensazione, uno di quei mostri che mi abitano: voglio far finta, giustificarti con tutte le motivazioni messe insieme come le difese di una roccaforte. Non so che fare con l'averti amato.