domenica 19 agosto 2007

Un definitivo rullo di tamburi

No, non vale. Torno dopo qualche giorno di campeggio (ne riparlerò) e mi trovo con questa notizia. Considerando che è l'unico batterista - io sono per i tastieristi e i bassisti - che a furia di sentirlo ho quasi dis-registrato un vinile con Dizzy ed altri, mi fa rabbia. Ma come ha detto un bambino sentito per strada "Tutte le cose devono finire". Parlaci dai tuoni, Max.

venerdì 10 agosto 2007

Ok, lo so, è un po' presto, ma

Per chi c'è in rete, un buon ferragosto.
Per chi sta per un po' fuori dalla rete, un buon ferragosto.
Per chi voleva stare fuori ed è costretto a stare dentro, un buon ferragosto veloce e poi un buon gelato.
Per chi voleva stare dentro ed è in una località dove nemmeno arrivano le onde corte, un buon ferragosto rigeneratore.
Per chi sta dentro e non se ne vuole staccare, un buon ferragosto fuori, con qualcuno che si ama.
Per coloro che sono stufi della rete, un buon ferragosto in mare aperto.
Per coloro che nemmeno sanno cosa sia un blog e tutte le diavolerie collegate alla vita sociale in rete, un buon ferragosto in cui qualcuno, distrattamente, ne parli.
Per coloro che non hanno acceso alla rete, un buon ferragosto in cui affluiscano idee concrete in coloro che possono rendere possibile tale acceso.
E per noi, blogstar de noantri, lunga vita e prosperità...

mercoledì 8 agosto 2007

La frontiera

You've been alone,
you've been afraid

Tra la notte e l'alba c'è un tempo difficile, accelerato, pieno di silenzi che hanno una loro materia e da vuoti da dove altra materia deve scappare spinta dalla luce. Accendo il motore dello squalo e immediatamente tutta una serie di forze si mette in moto intorno: gli alberi diventano cose artificiali, l'erba si appiattisce sotto la rugiada micronizzata, c'è un nanosecondo di attesa nel bosco, la riga bianca della strada comincia a srotolarsi morbida sotto la ruota sinistra. Mi vengono intorno come bambini, come animali, le piccole cittadine della valle dell'Aniene che luccicano come cumuli di vetri colorati. Le montagne sono muri blu contro la luce che cresce e che mi segue mentre scendo i tornanti: la sento, una cosa tangibile, come il bosco una presenza. Ssono false immobilità popolate di una vita che piano piano si trasforma in nuvole bordate di bianco puro, nel cielo va a disfarsi in umidità invisibile, fino a notte. Solitudine delle curve dove i pochi guidatori presenti rivendicano il centro della strada e lo difendono in tempi strettissimi, cisterne e camioncini, corriere e vere fuoristrada: non c'è spazio per te lì, non sono per te le foto che scatto per tentare d'intrappolare i colori, non penso a te mentre le foglie dei faggi cambiano tonalità mentre le sto guardando.

E invece quando affronto i rettilinei che dall'A24 entrano in Roma, stesa nella mattina estiva come un foulard caduto dallo spazio, sento di volermi anch'io dissolvermi come le forze notturne, sparire in qualche stabilimento termale avvolta nella spugna e nello zolfo primordiale, condividere con te il silenzio; per un po' dimenticare la paura del pietrificarsi nel quotidiano in uno dei sorrisi lievi che ti rubo mentre pensi a te, rimanere in una nostra frontiera per un po' tutti e due soli - insieme..

venerdì 3 agosto 2007

Libbera



Acqua del Tevere vicino all'Isola Tiberina

Chiunque arriva a Roma, sente nel cuore che vorrebbe ritornare, e non vuole sottoporsi al lancio della monetina dentro la Fontana di Trevi, ha un’altra possibilità, certamente più hard: un giro dei lungoteveri, tipo dall’Isola Tiberina a Ponte Matteotti e ritorno. Se ci riesce senza ammaccare la sua e l’altrui macchina, senza troppo sudare per la tensione, senza scomporsi nel vedere e subire le diverse condotte devianti dei guidatori romani e mantiene nell’angolo degli occhi qualche pezzo dei profili - resi affilati dal sole agostano – dei vari e favolosi monumenti visibili durante il percorso, allora gli si possono dare du' pacche su a' spalla e andarsi a bere una birretta bella ghiacciata a un qualunque baretto di noantri. Così pensavo stamattina, nel pieno del picco adrenalinico, contagiata dall'ansia di subire l'onda rossa semaforica, e marcata stretta dal CristianBus o dall'OpenCiaoBus o insomma, uno di quei torpedoni scoperchiati in cui i turisti guardano ognuno in direzione diversa mentre il guidatore impreca contro l'ennesimo motorino - inclinato in una doppia chicane stretta tra le macchine, in omaggio alla MotoGP - oppure la Smart guidata da bellissima e maledettissima tipa occhiali-a-coperchio-di-pentola e cellulare incollato all'orecchio. E mi sono ricordata, nel mentre che passavo vicino, che a un dieci metri della statua del Belli c'è l'approdo del battello che fa lo stesso percorso-battesimo per i guidatori non romani, ma sull'acqua.

Non sto a raccontare dove ho parcheggiato, quanta sia stata la mia fortuna. Il battello semivuoto. L'acqua verde erba. Le rive solitarie. Per un euro la tratta, è un regalo favoloso. Vedere i gabbiani nelle sue vere misure, garzette bianche, nutrie, papere, canneti - si, anche spazzatura, purtroppo - i famosi circoli canottieri in cui ci si abbronza con annesso humage, ristoranti galleggianti, tendopoli di fortuna, gente che dorme sotto gli alberi vicino all'argine, lupe disegnate sugli argini di Lungotevere Raffaello, pescatori e soprattutto una valanga di verde che l'asfalto nasconde perfettamente, non ha prezzo.

- Insomma, ora ci sono anche le strisce?! - il capitano rallenta per far passare mamma papera e cinque paperini in fila perfetta davanti alla nave. Nella radio, musica brasiliana. Intorno, silenzio.

Passare sotto tutti i ponti è una sensazione strana. Ci sono rilievi e finiture che non possono essere visti altrimenti, e la vista sulle cupole nel pomeriggio che va pigro verso il tramonto è indubbiamente quella che per secoli hanno avuto tutti coloro che qui commerciavano o venivano per diletto. E' un pezzo di GrandTour molto ben conservato. E le macchine sono lontane, lontane, lontane...