giovedì 28 settembre 2006

Impossibile riconnettere le unità di rete

Malgrado la luce ormai ottobrina, gialla la mattina e rosata la sera, che come tutti gli anni mi riempie di meraviglia; malgrado la vicinanza delle sagre dell'uva di Marino, Zagarolo, etc etc - feste epicuree, quasi dei carnevali autunnali; malgrado come al solito la città ribolla di iniziative e proposte di ogni tipo, io mi sento circa come una monaca di clausura. Non ci sarà mai una fontana che esaurisca la mia sete di vedere, sentire, sapere. Ma il mio tempo è scarso, e mangio troppi carboidrati.

Oggi sono stanca. Ci metto un bel To do. Forse qualcuno ne tira fuori un proprio percorso.

Warhol.
La Cina.
Quanto costa un corgi? (Dopo aver visto - e apprezzato molto, da buona Leone e dunque un po' regina anch'io - The Queen)
Almeno il catalogo.
Mangiare qui o qui.

Dormire...

martedì 26 settembre 2006

Evoluzione o ebollizione?

Il mio Loic delle Marche continua la sua carriera meteorica editando (insieme a Mr. Fogliata) due libri su Skype e sui Motori di ricerca e scrivendo articoli dalla lettura scorrevole e dalla comprensione semplice (oh, sì, sto parlando di me) per Nova24, il supplemento di tecnologia del Sole24ore, e non si ferma più. Non ha vinto però nessun premio ai Macchianera WA (e nemmeno il Proeta), e me ne rammarico: pensavo che questa volta il solo premio-ai-blog della blogosfera italiana (tralascio la categoria blog dei premi www: è il primo anno), pur confermando la qualità di alcuni, avrebbe guardato altrove, avrebbe pescato belle cose dalla grande blogopalla. Ma boh. Capisco che il pubblico è ristretto e per forza le rose di candidati si riducono... o no?. Darò un occhiata ai BOBs appena escono i vincitori, per rifarmi un pochino.

Intanto il Loic originale s'interroga sull'assenza di blogger dalla Wikipedia francese. E io a pensare: e in quella italiana (anche in quella spagnola)? Vabbé, ci sono i bravvissimi blogger-wikipediani. Ma, o miei numi blog-tutelari, ditemi: perché ci sono pochi bloggers nella Wiki? Almeno quelli storici, quelli che stanno lasciando traccia nella storia, dovrebbero avere una loro paginella. E ne abbiamo, qui. Molti sono nella colonna a destra, tra i materiali.

Oh, se ne volete ancora, sabato c'è il BzaarCamp. Date un'occhiata alla lista e ai temi....

domenica 24 settembre 2006

Una passeggiata in autunno



Borgo di Tragliata, fontanile

Che tu non sia sincera con me, città, lo sapevo già da prima: non sei la prima che mi nasconde la propria natura ruvida, oscura. Che dall'alto tu sembri un animale composito, un'amalgama affettuosa di contrasti stesa tra i castelli e il mare, non mi ha nascosto la sotterranea piovra, il cui becco assorbe dal Tridente l'energia che il Tevere raccoglie, le luci di più di 2000 anni, gli odori di abitanti e foranei. Ma come cefalopodo sei timida tu, città che mostra oggi le sue biciclette - ognuna sormontata da un sorriso - sotto un sole tagliente, che indurisce i profili e le ombre. Nuvole di un negativo d'inchiostro, la foschia, sono le tue armi della domenica, quelle che entrano dalle finestre aperte alla mattina: e io, che vado in bici (o in moto) soltanto nei sogni, sono scappata via, vergognando mi un po' di non essere ecologica, lungo uno dei tuoi lunghi tentacoli.

Via Boccea, come la Portuense, la Collatina, etc, è un susseguirsi di alte case, circonvallazioni, incroci da incubo, asfalto ferito e bucato in ventose che sfiorano i pneumatici; e sempre le salite e le discese, le curve del tentacolo che si restringe. Poi ville, poi fattorie stupende, olivi dai riflessi d'acciaio, mucche da cartolina, eucaliptus chinati a spiare i passanti, gallerie di cerri, campi smeraldo, terreno grigio pronto a produrre, cantine nascoste di vino nei dintorni di Torrimpietra: la campagna romana.

Mi chiedo se in primavera, in estate, c'è la stessa luce, e mi dico di no; ora ci vuole il pomeriggio per tirare fuori dai casali di Tragliata i riflessi dorati dalla pietra e dal tufo. Il sole pigro rimane ingabbiato nella fonte, a veder crescere insetti panciuti, dalle lunghe zampe con le quali planano a pelo d'acqua, che salgono alla superficie in bolle dai riflessi di un oro bordato di verde: è la stagione in cui si festeggia il vino nuovo, in cui è buono riflettere passeggiando in mezzo agli orti, guandando negli occhi gatti e maialini appena nati. E' la stagione dei piccoli passi, dei viaggi minuti...

giovedì 21 settembre 2006

Yo no tengo más que este corazón

Eccolo, sta là dietro: il camion dell'AMA, my friend, un animale amaranto che blocca tutti quei rallysti da strapazzo che dalle 8 alle 9.30 strombazzano appena il muso dello squalo sporge dalla recinzione del garage. Esco e vado in una mattina lavata, ovviamente leggera: se due sono le alternative per una previsione di massima di come andranno le mie giornate (il camion dell'AMA lo trovo davanti o dietro), allora posso attaccare con una cassetta di musica da sfacciati, ammirare una municipale misura 42 (divisa dal taglio perfetto, non un capello biondo fuori posto, i blocchetti delle multe tenuti nella mano sinistra come piccole Vuitton), ricevere un clin d'oeil d'acciaio dall'aereo che tutte le mattine scende virando sopra i curvoni della tangenziale alle 19.38 circa, e girare in perfetto accordo con i treni che sotto i piloni vanno, vanno.

Invece, capita che non ci riesca ad andare a ritmo, il camion sta davanti a me e recita il telegiornale noioso dei secchioni verdi: sono fuori fase loro, sono fuori fase io, tra il catatonico e il perplesso, sentendo forte che devo fare qualcosa - anche formulare un pensiero spezzerebbe il torpore, un limbo che somiglia alla sensazione che si ha appena svegli dopo una notte brava, un dove sono, o piuttosto perché - qualcosa che non sia, però, sentire un'assenza: lì c'è un flusso più sotterraneo, che sottrae a ogni attenzione, che mi scioglie insieme alla prima rugiada posata come un tuo bacio sull'erba delle uscite del raccordo. In esso vado. In un breve chiudere gli occhi t'immagino, le braccia dietro la testa, ricevere il primo sole. Ne sento il calore, nostro in questo secondo; mi sveglio, mentre con una gran curvata furibonda finisco sotto gli occhi nocciola di due gemelli che mi guardano dalla macchina davanti, le magliette pistacchio, lo sguardo come noi: e vo' cercando sui visi dei camionisti e dei motorinisti e semplici passanti quella corrente dolce, l'amore...

mercoledì 20 settembre 2006

Sette, otto... e uno, due

Non sono sparita. Soltanto reduce da una lezione di danza&Pilates. I miei piedi diverranno belli elastici, e in parte potrò soddisfare uno dei miei due sogni da grande: acquisire la grazia (beh, insomma, ci proverò, non sono mica lei) dei movimenti e l'elasticità che dà la preparazione specifica.

Ok - ho capito. La danza, bleh. Allora, via, pensate ad altro e mettete in programma un buon film, tra un'ottobrata e una novembrata... Amenábar, De La Iglesia, Almodóvar...

giovedì 14 settembre 2006

The Weight of Notes

Ho rifiutato per anni di sentire il Requiem di Mozart. La sola parola mi faceva scuotere la testa e andarmene, fisica o psicologicamente. Finché non sono capitata nella versione di "Amadeus". Il film supera per me una certa soglia di kitschità, ma posso perdonare tutto, perchè c'è quella magia immensa che è la sua musica, unica sempre, sempre inno alla vita.

Un giorno l'ho comprato insieme a qualche n.1 o 2 di fascicoli sui grandi maestri della musica, etc. L'ho sentito prima distrattamente, poi con più impegno. Di notte. In macchina. Mentre traducevo.

All'Auditorium l'Accademia di Santa Cecilia celebra quest'anno Mozart con un programma curioso, un approccio (mi sembra) non populista. Alla fine, dopo giorni di composizioni scelte e bellissime, troneggia l'immancabile. Vediamo se riesco a trovare un biglietto che mi permetta di essere investita dal muro di dolore, pentimento, fede, speranza e gioia assoluti, concentrati dentro quelle note...

mercoledì 13 settembre 2006

I vicoli di un quartiere che sta dentro me

Non posso certamente dire che quando, un tempo, mettevo con le puntine (una o due volte a settimana, sul sughero dei piccoli annunci di un bar dove ci si incontrava con gli amici) un foglio scritto, una storia breve o una poesia da leggere, sul quale alcune persone prendevano la penna per commentare, stessi facendo qualcosa di molto simile a un blog. Ma indubbiamente era una traccia preistorica, qualcosa che ora il blog permette ad un livello ben più vasto.

Rivedere quei fogli, mentre cercavo altro, un po' mi ha emozionato. Nelle cose che si scrivono nel passato si può sempre riconoscere - magari nelle emozioni meglio raccontate o nelle metafore intuite, brillanti come un accordo di ottoni - il proprio modo di vedere il mondo e di esprimerlo: anche nelle omissioni, in quello che sta tra le righe, oppure in una freschezza, o fierezza, che si trasformano fino ad arrivare al hic et nunc dello scrivere oggi, in supporti labili come la rete, per un pubblico con il quale è possibile, diversamente ad allora, ch'io non mi prenda mai un cappuccino per parlare di quello che avevo scritto.

Oggi, due anni di fogli affissi. Brindo, con il mio cappuccino virtuale, con tutti i miei lettori passati, presenti, futuri.

lunedì 11 settembre 2006

Il tuo macro è come un rock



Orto Botanico, Rose antiche

Le zanzare di Roma sanno bene dove andare in vacanza. Relax massimo, crociere nel laghetto di Shrek, un orizzonte di orchidee nelle serre, l'odore dolciastro delle felci. Un bel balletto optical si alza dunque mentre io mi abbasso a fotografare dei microfiori (delle Haworthia bolusii, credo), le rose antiche o un cespuglio di trifoglio a quattro foglie, un concentrato di fortuna. Le braccia mi tremano, circondate dai pungiglioni. Immagino di essere un enorme faro di calore, irresistibile. E scappo a gambe levate torturata, ma irriducibile, verso il roseto, le palme, la sughera centenaria.

L'Orto Botanico sta in quel triangolo pre-trasteverino formato da Palazzo Corsini, la Farnesina di Raffaello e, nell'angolo più lontano, il carcere di Regina Coeli, quel luogo del quale un tempo si diceva che non era vero romano colui che non ne aveva oltrepassato almeno una volta la soglia... insomma, c'è 'no scalino... Dopo, c'è il lungotevere, un terrain vague dove un leggero sentore di cera annucnia i possenti, vicini bastioni e palazzi vaticani; prima, dopo Porta Settimiana, il chiasso, i panni stesi, i baretti minuscoli, i fornai che lavorano con il laboratorio aperto (e non si può resistere a quel odore assoluto di pane caldo, bisogna comprare almeno una rosetta da rosicchiare tirandola fuori a pezzettini dalla busta di carta, mentre si cammina, i piedi malfermi dai sampietrini sempre sconnessi), la gente che scambia risate e frasi negli angoli e dai balconi.

Nel bar all'angolo c'è una foto della Porta sotto la neve, in quell'85 in cui Roma fu ben sbiancata; forse l'ultimo, anche se tutti lo evocano in quei quattro fiocchi che cadono tutti gli anni nei giorni più freddi. Da allora la magnolia alle porte dell'Orto è cresciuta in mdodo spropositato, e si sono accorciate le magliette delle allieve della John Cabot. Entro a prendermi un caffé, e nel mentre entra un clone quasi perfetto di Joaquin Phoenix nel suo ruolo di Commodo: le spalle indietro, capelli neri, un vero duro tutto occhi selvaggi, indagatori; misura il bancone ad ampi passi, poi va verso la cassa.

- Hai visto X?
- E' stato qui un attimo fa. - risponde immutabile il cassiere - E' andato via con Y.
- Con quello?
[silenzio, occhiate e ammicchi tra i baristi dietro il banco, a Mr. Phoenix cadono giù le spalle]
- Ma ha detto che tornava più tardi.
- Ah - ed esce a testa bassa, senza dire altro.

Il sole sta sulle palme più alte come un bagnino abbronzato seduto in terrazza a Rimini. Sul lungotevere, il flusso mi porta senza strappi, e senza zanzare, verso il tramonto...

venerdì 8 settembre 2006

Lonesome train, ride all day

Ma dico, quanto è bello cancellare lo spam. Eh, sì. Nessuno può negare che sia un po' come togliere la polvere, o passare lo spruzzino su quella porta dell'armadietto del bagno che sì, era ora di dargli una pulita, no?. Grrr. Dopo cotanto rituale purificatorio, posso finalmente metter in bella l'itinerario presunto della Notte Bianca, cioè quello che, mezzi pubblici permettendo, mi catapulterà di nuovo in mezzo alla folla di personaggi che ogni volta si espandono per le strade, indubbiamente quello che più mi piace di questa specie di festa pagana.

Prima tappa, l'apertura straordinaria del Giardino dell'Iistituto Giapponese. Tante volte, uscendo dalla GNAM, mi sono detta: ci devo tornare, devo vedere il giardino; ci sarà un silenzio asiatico, dei colori e delle forme su cui construire un pensiero o una sensazione.. Ecco, un'occasione d'oro. Poi via tram a SanLorenzo, a curiosare di fotografia in Via degli Ausoni, 76, dove è annunciata una mostra di foto su Roma fatte con pellicola per infrarossi.

Dopo qualche caffé alla Casina del Parco (il Parco di San Lorenzo, pieno di nomi, di bambini e di vecchi) una puntata a Termini, Ala Mazzoniana, a vedere la mostra su Marcello Mastroianni, e sbirciare se veramente hanno messo come sottofondo teatrale, sul primo binario, una delle locomotive a vapore ancora funzionante, regina del deposito di S.Lorenzo, che di solito vedo dalla tangenziale, lucida sotto il sole o la pioggia, vicino alle officine e al parcheggio degli ETR. Poi in centro, al bagno di folla, per vedere che aria tira e mangiucchiare qualcosa a Piazza di Pietra, dove metteranno delle bancarelle o chioschetti biologici. Sarà aperta Moriondo e Gariglio, la mia cioccolateria (non l'unica) preferita del centro? Se non è aperta, proverò qui. Una puntatina da Remainders, la storica libreria di Piazza San Silvestro, dove tante volte ho sbavato (sì, lo confesso) davanti ai più bei libri, spesso americani, sui treni, o sul sushi, o su Marilyn Monroe, o qualunque altra cosa che uno possa immaginare. Sicuramente con qualche libro sottobraccio per ingannare l'attesa, andrò prima a vedere la mostra su Corto Maltese (qui ci sarà una folla spropositata, immagino) a vedere i Kitonb, che avevo già visto al Laterano nel 2004, mentre svolazzano sul Gazometro conciato come la facciata di un negozio a Natale. E poi, e poi...

Ce n'è tanto, quest'anno. C'è pure una torta, gratis...

martedì 5 settembre 2006

Streets

Le strade di Roma sono come animali selvatici: se hai paura ti azzannano. Eccomi, guardando con occhio terrorizzato la spia del gasolio al ritorno da una puntata del Grande-Giro-dei-Centri-Comerciali-Monstre causa ricerca di un frigorifero nuovo. L'istinto mi dice: Roma-Fiumicino. La paura: no, rimani senza gasolio e per strada e poi - no, non voglio nemmeno immaginarlo, vergogna, deficiente, etc. - meglio prendo la - Portuense.

La Portuense è una strada brutta oltre ogni limite. Ogni aspirante a vero romano dovrebbe percorrerla almeno una o due volte nella vita, come fosse un viaggio iniziatico: il passaggio da guidatore normale patentato a superman dell'intuito. Io di solito ci inciampo; se capito nelle sue vicinanze, stordita, vinta da una forza che va contro ogni ragionevolezza, mi sento acchiappare e tritare tra le sue buche, mentre sputa la bava nelle sterpaglie bruciate e mi ride dietro nelle curve il cui bordo è di sterrato e basta una puntatina del pneumatico che vai volando fino non si sa dove.

Dovevo vedere Corviale, forse. Controllarne la temperatura. Ancora sterpaglie e camper, tende sparse sulla collina. Malgrado la biblioteca, e i progetti, ancora c'è da fare. A me quel palazzone piace. Vorrei conservare una visione fugace, come di un edificio intravvisto in sogno.

Ho provato ad scappare, verso il Trullo. Ma dove vado? Non ci sono troppe indicazioni stradali, a Roma, costano. La strada s'infila in città come una coltellata, finché sbuco non so come sulla Circonvallazione Gianicolense. Mmh, ma se vado di qua posso girare verso Testaccio e - no, c'è via deli Orti di Cesare che sbuca nella Portuense, porc.. E' un incubo, è ora di svegliarsi, mo' apro gli occhi e va via tutto. Trovo un cartello di inversione di marcia collocato sicuramente da qualcuno che ha sofferto come me, intensamente, del fascino della Portuense. Mi fermo in doppia fila, al primo bar che vedo nella direzione giusta; per favore un caffé. Ristretto.

Una signora offre al suo bambino, scocciato di stare fermo nel passeggino, un sorso di succo di frutta, dal biberon fiorato: il bambino si dimena stizzito. Allora lei prende, direttamente dalla tettarella, una lunga sorsata, puntando verso il soffitto. Sorrido (no, non devo ridere, quella me butta il biberon) mentre mi giro per pagare, sorrido ancora, in mezzo al traffico, due volte liberata...

domenica 3 settembre 2006

La Tertulia, versione beta

Più sto in rete a leggere blogs e a perdermi per altri meandri della conoscenza e della curiosità, più mi viene in mente quest'idea, perché sento sempre il bisogno di condividere le cose che m'interessano e che leggo; ma non più sul web, perché il tempo è tiranno e io ne ho bisogno per tante altre cose, ma direttamente, come quando si fa vedere a un amico un testo su una rivista, o una citazione di un libro, o si telefona per avvertire di un evento al quale si deve andare di persona. Questa idea e anche il bisogno genetico di noi spagnoli di riunirci attorno a un tavolo, e più precisamente al tavolo di un caffé (i torinesi, in questo, li invidio: hanno dei locali meravigliosi) per far passare il tempo in conversazioni che non soltanto apportano conoscenze nuove o spunti di dibattito, ma che sono anch'esse condivisione, mi portano ad alcune considerazioni.

Non un concerto o un libro da recensire, non una conferenza di bloggers: mi piacerebbe ci si potesse riunire qualche volta attorno a un computer aperto su un sito o un post, o portare a tema un articolo, una poesia, un blog, un libro o una rivista, e parlarne almeno per un paio d'ore davanti a caffé, pasticcini, etc. Scegliere un posto (a me piacerebbe Dagnino, quel luogo di perdizione) dove si possa stare seduti insieme. Se si vuole, si può postare dopo nei propri blog le cose che si sono imparate nella tertulia...

Se non mi riesce, ci farò un blog apposta, non ne dubitate.

Intanto sono partiti i Bobs, e vedremo quest'anno che novità ci portano, anche se ancora non sono previsti blog italiani o in italiano. E tutti gli anni mi chiedo perché...

venerdì 1 settembre 2006

Il Triangolo di Pittaluga

Tre come le Pipettes, ma in tre sfumature di biondo da parrucchiere, ingioiellate di corallo e occhialate nere (contro un sole che costringe a stare ben dritti in macchina, per evitarlo sugli occhi, ma che nel frattempo ti prende al collo come una mano calda), mi hanno seguito a bordo di una Ypsilon nera quasi fino al lavoro, stamattina. Ho comprato il giornale ai venditori del semaforo della Tangenziale, che in previsione del grande ritorno dei lavoratori frequentanti il percorso si sono fatti in tre, ognuno con il suo grembiule colorato e una capacità fulminea di percorrere il tratto di marciapiede, stretto come un ponte tibetano, che separa il compratore potenziale dal suo giornale preferito. Perché oggi finalmente il traffico è ritornato normale, una moto mi ha sorpassato sfiorandomi stretta (un altro millimetro e...), trattori solitari di camion giravano goffi sul raccordo; file, frenate, e una Brera color acciaio che scivolava davanti a tutti come un ghepardo, con dietro i miei occhi.

Quando l'estate va verso la fine, la luce del sole diventa prima molto luminosa e spessa, quasi solida, e si va ammorbidendo nelle settimane fino a esaurire il proprio calore in rosa e arancione, sui monumenti, sui romani e sui ricordi dei turisti. All’entrata della galleria Pittaluga c'era stamattina un fascio perfettamente triangolare, quasi minaccioso, che bisognava attraversare. In macchina tutto è molto veloce. Ma ho quasi sentito il calore percorrermi come uno scanner, come una finta in una coltellata.

Mi sentirei meglio davanti al computer a scrivere storie di persone, mi sono detta. Di tutti quelli che vedo attraversarmi davanti ogni mattina, ognuno con un suo piccolo mondo in parte percepibile e in parte inventabile. Di tutti quelli cui sento la presenza o la mancanza...