mercoledì 31 maggio 2006

Un'altra citazione (che ci posso fare? mi piace questo libro...)

"La cosa davvero stancante è che io mi sento responsabile di tutte le mie responsabilità."

Philip Roth, Deception

martedì 30 maggio 2006

Una citazione

"Non hai quasi aperto bocca, Fai sempre così, sai, quando sono qui."
"Sto ascoltando. Ascolto. Sono un écouteur, un audiofilo. Sono un feticista delle parole altrui."

Philip Roth, Deception

Notturno

Ho sognato un enorme foglio scritto, scritto nel mio corsivo impaziente. Io non c'ero, il foglio cresceva e cresceva, morbido come un lenzuolo. Cosa lascio di me, scritto? E' vero, tanto, forse troppo. E non tutto qui. Sarà. Adesso il ponentino vero regna sulla notte di questi primi caldi, ed è un po' che penso all'aerosol di cortisonici che mi tocca fare dopo questo post oppure soffocherò di nuovo anche stanotte per la maledetta allergia. Sto traducendo e come succede spesso, scrivo insieme: il diario, i post del blog, appunti di emozioni. Non ho molto tempo per scrivere, e per un'alchimia tutta mia o forse la più normale consuetudine alla fretta, riesco a dare il meglio se ho insieme un po' di confusione: l'amore tradito va bene con i manuali delle lavatrici industriali, le descrizioni dello spleen magico della città con gli articoli a sfondo religioso, le certificazioni e i contratti portano spesso alle piccole poesie. Perché? Non lo so.

In sottofondo Sergio Mendes, roba con cui sono cresciuta, revisited da un bel po' di gente. Le dita martellano con cura la tastiera sotto queste trombe sensuali, con Mr. Wonder all'armonica, i pezzi rappati ruvidi mentre le percussioni e i musicisti ondeggiano come nelle canzoni di Paolo Conte. Mi faccio il solito caffé, ma l'estate incalza. Due cubetti di ghiaccio. La notte avanza.

sabato 27 maggio 2006

Saturday afternoon

Tlak, sguish, sguish...? gggh, gggh (e basta). - No, porc, la macchina non parte, ecco che mi succede a lasciarla così abbandonata... Pronto, ACI? Che per caso avete qui nei dintorni qualcuno dei vostri furgoncini-meccanico? No? Ah, sono tutti impegnati con l'esodo al mare? Mi serve soltanto un vostro addetto con i morsetti, la batteria della macchina purtroppo è defunta e... N° di tessera? Ecco, il 23456789. Come? Scaduta? Sì, ma porc, quelli della delegazione mica mi hanno scritto e... Via, sono soltanto 5 giorni... Ah. Sì, aspetto. Ok. Aspetto, un camion? Va bene, grazie, grazie e grazie ancora....

Il sole di maggio sa di attesa, è una luce flou che cade verticale sui parabrezza, una cosa che un po' acceca, che aspetta negli angoli delle strade maldefiniti da un ombra ugualmente pigra e dubitativa. La città piega il collo, me lo piega in colori marmorizzati che si sciolgono dalle facciate rosa e pistacchio e crema e cioccolato, come se negli occhi avessi una cataratta. La città attende, ribolle. Ribolle maledettamente sul mio squalo. Il parcheggio coatto, almeno finché non arriva l'uomo ACI, è al sole.

- Questo frigorifero pesa un accidente.
- Dai, alziamolo insieme.

Le due spazzine sono arrivate con il camioncino dei rifiuti ingombranti e hanno girato un po’ intorno al frigorifero da portare via. L’una è secca e forte. L’altra più molle e lagnosa. Bionda e mora. Due ragazzi allaciati per la vita le guardano - ma soltanto un po’: poi a terra, poi occhi negli occhi innamorati - e anche alcune signore nervose che passano, tenendo il guinzaglio molto in alto, e lì legati cani piccoli neri, bianchi, marroni, che fiutano tutto e non stanno mai fermi. Nella stradina laterale, padrona di almeno mezz’ora di tempo perso, le seguo con la coda dell’occhio anch’io mentre miliardi di scaglie dorate galleggiano sul Tuscolano – adesso: poi chissà dove, prima chissà dove – , e i suoi isolati sessanta e settantini sono percorsi da raggi lenti e trasformati in piccole allucinazioni di strade cubane, oppure istantanee di paesini texani, dove si alza la polvere e i carburatori dei camioncini sono sporchi, in cui la gente alle 14.24 dorme - è ovvio, è sabato, accidenti a me potevo aver fatto accendere la macchina a qualcuno - dorme una siesta propiziatoria del ponentino. E nel bar di fronte si avvertono le tracce del passaggio tra il caffè al vetro e il caffè freddo: le bottiglie panciute, velate di condensa, sono maneggiate con unzione dai baristi, girate come si fa con un vino che invecchia. Le rotatorie colorate delle granite artificiali. Le grandi pulizie nelle terrazze interne. La polvere dell’estate vecchia si alza dai gazebo appena aperti. Le sedie che si affacciano timida e illegalmente sui marciapiedi.

- Signò, che caldo. Ma cc'ha fatto? C'ha lasciato 'e luci accese? Mo' sistemamo tutto. Accenna quanno glielo dico io. - sono sicura che quando torna a casa si strappa il giubbotto riflettente, la camicia e la maglietta, dentro il camion. L'addetto ACI mi fa firmare il classico foglione, mi dà la mia copia stampata in rosso e se ne va con il camion di recupero che porta una bella Golf nera.
Brrm, brrm. RRRRR.. (minimo) SSzzzzz, slash (finestrini aperti e capelli davanti agli occhi).

(Musica)

venerdì 19 maggio 2006

Comunicazione di servizio_17

Sarò assente (ma no, non troppo assente..) per qualche giorno.

martedì 16 maggio 2006

Alle volte vorrei che i pesci si cucinassero da soli

- No, signora, non deve toccare le etichette....

Distratta, sto studiando la provenienza (allevamento, bleah) di una trota panciuta che sembra finta, in mezzo al ghiaccio del reparto pesce, e anche leggermente tirata, circondata com'è da seppie di Anzio che hanno sputato rabbiose tutto il loro inchiostro sul polistirolo dei contenitori e che traduco visivamente dalla massa informe ad un profumato intingolo con dei piselli freschi, magari presi alla bancarella di una delle mie venditrici preferite del mercato, che oltre a frutta e verdura porta tutti i giorni rose prese dal giardino di casa, vicino ai suoi terreni; niente ibridi, vere rose brutte, selvatiche e profumatissime. Gli occhi del ragazzo sono attentissimi alle distrazioni dei clienti, manifestano l'urgenza di far passare l'attesa il più velocemente possibile, ma anche l'autorità del capo territorio, pur nei suoi scarsi dieci metri quadrati. L'altro addetto pulisce i miei calamari, ne trincia i becchi appuntiti. E se anche loro fossero bloggers?, penso. "Il pescivendolo del discount", "Il blog del tagliatore di pesci", "Due rosette bianche grazie", "Scusate, questa cassa è chiusa" e così via. Mi piacerebbe indubbiamente leggere e commentare le impressioni che si provano dall'altra parte del banco, e questo soltanto i blog possono farlo.

Io, ma non soltanto, e non da adesso, credo che i blog siano un punto fermo nel futuro del web. Zambardino lo disegna chiaramente in questo paragrafo, parlando di MySpace: "[..] Bisogna pensare a cosa significa sul piano umano, sociale, culturale un "luogo" dove milioni di persone, prevalentemente giovani e giovanissime, possono creare la propria "stazione" di trasmissione. Da questa possono, scambiando messaggi, link (quindi conoscenza), conversazioni e file, creare una propria vita sociale autonoma, cioè diventare gli adulti di questo tempo. Non che il fenomeno sia nato con Myspace, questa è semplicemente internet e la sua capacità di liberare conoscenza e relazioni sociali. [..]"

Ma è Loic, il mio personale presidente dei blogger, colui che lo dice meglio, nella sua introduzione a Innovate! Europe 06 (traduco liberamente dal francese. Qui in inglese) :

"[..] La nostra sfida è adesso quella di condividere il fenomeno [blog, reti sociali, software sociali, etc, N.d.T] con i non-geek, con gli amici dei bloggers, coloro che non conoscono ancora queste tecnologie o non ci tengono a conoscerle. Devono soltanto sapere quello che possono fare grazie a loro. Dobbiamo inoltre facilitare la convergenza tra testo, audio e video e renderla accessibile al più gran numero di persone possibile."

No, non dimentico il digital divide... Ma spesso penso che mi piacerebbe indubbiamente leggere e commentare le impressioni che si provano dall'altra parte del banco del pesce, come la vedono i parrucchieri, cosa pensano i solitari pizzardoni mentre cambiano i tempi dei semafori, etc etc a piacere, e questo soltanto i blog possono farlo.

Stasera, però, niente più ricerche. I piatti li rimando a domani. Via con il ripasso di vecchi film. Footloose, Nosferatu, 2001? No, no. Sevillanas.

sabato 13 maggio 2006

Should a love be tender

Esterno notte - Una strada senza uscita, larga e buia, che affaccia verso un parco pubblico illuminato da piccoli lampioni bassi. Grandi palazzoni con lunghi balconi pieni di piante. C'è molto vento. Il rumore negli alberi, forte in sottofondo. Due ragazzi si abbracciano appoggiati al muro di un palazzo, ritagliati dalle luci del parco. Si separano per guardarsi negli occhi. Si apre una porta all'inizio della stradina, è l'uscita di sicurezza di una discoteca. Esce un fiotto di sonoro e due uomini vestiti con abiti chiari, che ridono forte. Manovrano con una grossa macchina e spariscono nella notte.

Lui dice: Lo so, lo conosco, questo senso di nodo nello stomaco, una corrente secca che mi scuote, che mi fa fremere i polpastrelli, che s’insinua sulle labbra come un formicolio di sete. Quando ti vedrò allontanarti, quando crescerà il silenzio tra noi come i rovi della belladdormentata, allora mi verrà addosso come una scalfittura, un livido che s’ingrandisce ovunque e mi fa male. E vorrò non muovermi più, trasformarmi in statua sotto la quale tu potresti aprire i tuoi libri o strppicciarti le mani, gli occhi al cielo, tentando di unire i puntini del disegno di un futuro lontano e felice. Oppure disfarmi e abitare per sempre ribelle al pettine tra i tuoi capelli, essere il solo pensiero ricorrente. Ma più, ma più di tutto vorrò correrti dietro, prenderti per mano e passeggiare per un tempo infinito in un parco che non avesse limiti né confini, senza parlare, bruschi come bambini: e nella notte scoprire i punti di contatto fino al compimento di una cucitura astratta, con fili di metalli preziosi quali siamo, fino all’oblio a noi così necessario. Andrò invece verso un’altra parentesi, mi seccherò senza di te, masticando furioso l’aria che ci separa, finché non resti che il tuo solo profilo malinconico e mio, l'essenza. E di essa vivrò fino a rivederti. Domani. E domani ancora.

Lei dice: Perché l’amore è stupido e noi bambini irrazionali. Voglio stare adesso così, con le braccia strette nelle tue sotto l’occhio del cielo: solo le braccia saremo, solo legami…

venerdì 12 maggio 2006

Microscopic sections of the brain

Esco dal letto, o direi costringo al mio doppelgänger a tirami fuori, a spingermi e spostarmi sul bordo come a una bambina assonnata e difficile, e continuo le azioni rituali, quotidiane, senza esserci, senza essere io. Santo cielo, penso, sono a pezzi. Non c'è disperazione, non un filo di sentimento; ma non riesco a tenere unite le varie sfaccettature, si creano delle interferenze d'istinti e percezioni, sensibilità diverse: è come tenere sotto gli occhi un asilo di bambini. La maestra sonnecchia. I piccoletti si disperdono. Dove vanno?. Diverse me incomplete eseguono malamente, scoordinate, il lavaggio dei denti o lo spazzolamento dei capelli; una mano che non è del tutto mia, una mano come quella che sta in un racconto di Cortázar, mi inforca gli occhiali un po’ storti, mi aggiusta la maglietta sui fianchi, impugna la fetta biscottata.

Le spalle pesano. Quella parte di me addetta alla semplice sopravvivenza delle azioni ripetute preme sui lati delle ginocchia, pesa sui piedi e stringe i polsi, per ricordarmi che ho una massa ed un volume, un energia potenziale che rispetta le leggi della relatività. La tangenziale oggi, tutto il fuori, sembra una foto lavorata con il HDR. Le macchine mi sfiorano con le fiancate, hanno le finestre troppo aperte, si avvicinano troppo ai miei fari; le moto mi assordano. Le bottigliette dell’acqua nei loro spazietti plastici vibrano con suoni identici alla base di una canzone dei Telepopmusik. Abbozzo un sorriso che è una domanda rivolta a questo ritmo staccato dal tutto, gemello al mio sentirmi spezzettata.

- Buongiorno, cara. Carissima. - Andrea mi gira intorno come fa la cappa nella veronica. Le mie mani sono appoggiate al tavolo nell'open space, mentre le parole si accalcano davanti alle labbra serrate e premono. Non è urlare, quello che voglio. Ma parlare, dire come mi sento. E non so.
- Andiamo, trésor. Ho bisogno di due caffé.

Le scale verso la macchinetta sono alte, nere, interminabili come angolati nastri di Moebius. Instabilità, penso, mia feroce sorella.

lunedì 8 maggio 2006

E che d'è 'sto post?!

Etciù, etciù, etciù, etciù, etciù, etciù, etciù! Etciù, etciù, e porc e riporc schifner aiut etciù maremm maial helpgetmesomehelp etciù, etciù, etciù, santamadonninadegliantistaminici aaargh!!!

- Ma, lo vuoi un fazzoletto?
- Tprg, due, grz. Etciù.

N.d.T. Non so bene cosa riuscirò a scrivere nei prossimi giorni. Non vorrei essere monotematica. La danza della pioggia, ecco, questo mi serve, così i pollini scendono, i occhi mi si sgonfiano, respiro meglio la notte e non terrorizzo i colleghi con i miei etciù...

sabato 6 maggio 2006

Absolute beginners

La massaie, il sabato, scendono al discount con la maglietta impattaccata e i capelli da lavare, l'ombra della sigaretta sul labbro, il camminare strascinato. I cassieri sono lindi, di sabato, e bevono caffé veloci mentre avanzano i nastri neri, pigiando i tasti della cassa e carezzando il denaro come se invece di cassieri fossero bookmakers dietro al finestrino. Il sabato, i negozi di scarpe sono presi d'assalto: basta fermarsi alle vetrine di quelli più grandi per vedere come in un film accelerato le scene delle prove, guardarsi i piedi di fronte e di lato, i compagni occasionali dei divanetti che ci guardano con occhi inespressivi. Il sabato è più buono il caffé dei mercati, il sabato si guarda il cielo e lo si prega come a una divinità antica: il sabato si guardano le rose fiorite, le zagare profumate, i boccioli dei ligustri che stanno dimenticati sui marciapiedi, come tanti altri alberi accanto ai quali passiamo tutti i giorni. Gli scrittori, il sabato, buttano più pagine stroppicciate del solito nei cestini, intontiti dall'odore degli arrosti che sale dai cortili, e finiscono per rifugiarsi in bagni caldi, con vicino la sigaretta e la radio che gracchia di Mondiali e politica spicciola.

Nessuno sa di un arcobaleno di scritture. O si?

venerdì 5 maggio 2006

It's a shame

- Mmh, forse sono arrivata un po' troppo presto? - dico al guardiano del parcheggio, che è appena arrivato ed ha già il piazzale pieno di macchine da spostare.
- Signò...(l'aria freddamente irritata) damme le chiavi, arrivederci, ho un sacco da fare.

Ci sono giorni... mattine, pomeriggi, in cui ricevo stilettate di tutti i tipi. Ho analizzato spietatamente le dinamiche dei miei malintesi, le frasi disgraziate che dico e vengono capite in modo diverso da come io le avevo collocate nel mio vissuto hic et nunc, di quel momento. Le volte che dico le cose senza pensare, che presento al pubblico zone di me naturalmente ambigue, spiazzanti, quando non riesco a spiegare le mie mille sfaccettature, l'incompiutezza. Le nostre vite spesso si scontrano nelle parole e io non ne capisco il motivo. Le persone vanno e vengono, idolatrano e dimenticano con la stessa intensità, e io resto la stessa, in balia di uno dei miei più grandi perché di sempre. Costretta sempre a ripartire e ad affrontare la normalità, che le situazioni normali siano queste, che ci sia sempre instabilità.

Fuori dalla finestra, l'acquazzone standard delle mezze stagioni romane. Il cielo è diventato piombo e poi acciaio blu, non temperato, non inox ma non per questo meno metallico. La luce di un sole giallo stacca gli edifici dai loro volumi e li avvolge in una tensione tangibile, rende spugnosi e sporchi i travertini, mentre gocce grosse come un euro vengono verso di me ed hanno una coda di linee nere, di traiettorie visibili e inquinate; scoppiano furiose sui vetri della cucina, come le domande che mai non mi arrivano, e scivolano, si assottigliano e spariscono come il rimedio che non pongo mai...

giovedì 4 maggio 2006

Perché io sono soltanto caso, passaggio, strada

Percorrere spesso le stesse strade è come avere una specie di intimità con i luoghi inanimati: nel breve tempo della tangenziale sono in ascolto del parlare delle finestre, che celano o mostrano parti infinitesimali delle vite abitanti dietro ai vetri. O vedo le tracce di passaggi notturni che restano ai margini del asfalto: visioni fugaci di stracci, una catenina, il lucchetto forse di una valigia. E guardo il cielo come a uno specchio, alle persone come a libri, alle strade come a compagne di viaggio. Oggi le nuvole sono confuse, le macchine leggermente aggressive. Sono troppo impegnata a gestire le mosse degli schizzanti motorini ma capto un silenzio anomalo dall'autoradio, un silenzio come quelli dei sogni, e voglio uscire mi dico nel profondo inconscio, esci mi dico nello strato più primordiale del mio intendimento. Un secondo di terrore e parte la musica, prima appiccicosa, una melma che mi avvolge sopra l’asfalto, Whenever I'm down/I call on you my friend, poi uno, due, tre, quattro, l’attacco di tutti gli strumenti insieme, come una porta che si apre di botto alla luce e fuga gli incubi: i treni s’incrociano furiosi come lombrichi davanti e dietro ai semafori di Termini, due cornacchie strillano e litigano in volo sopra i lampioni del primo curvone, il sole esce dalle sue coperte grigie ed esplode, le macchine accelerano e anch’io accelero, abbasso i finestrini, aumento il volume, mi butto dentro alla galleria Pittaluga come in un tuffo nel mare di notte; perché sono sveglia, posso decidere, niente corsia di destra stamattina, tenere i SUV dietro come cani rabbiosi, cercare quella Mercedes dove ci sarà un uomo che potrei baciare, cantare a squarciagola fino al raccordo.