lunedì 27 giugno 2005

Tastieraddiction

Giovedì 30... Beh, sì. Dopo ieri, risentire Lorena che suona di nuovo Ultramarine di Mr. Cognolato, sarà roba sopraffina. E se poi allegramente ce ne andiamo a mangiare qualcosa alla Birreria Peroni di Via S, Marcello 19, uno dei luoghi preferiti dei blogger romani (chi dissente può fare una ricerchina sul mio amato Technorati) per chiacchierare di blog, di musica e di noi stessi...

Si, a te lo dico. Ci vieni, vero? Come, a chi dirlo? A me, o a lui...

Se Brad Mehldau avesse un blog



Cosa scriverebbe? Forse che le carezze non si danno per forza con le due mani, no. Alle volte basta una sola, mentre l’altra se ne sta in attesa, per esprimere la dolcezza o la passione, per percorrere una pelle, un volto. Bastano due mani ed un pianoforte, sotto le luci blu e rosse che rendono il palco un angoletto porpora e viola, come da luogo seminascosto in una discoteca. Alle volte l’una riposa mentre l’altra accenna, ricorda, si ferma a mezz’aria, si distrae su note altissime e richiama l’altra. Stanno parlando: il pianoforte è un immenso amplificatore. Esprimono un amore perduto o comunque in discussione, nel sottofondo rumoroso creato dalla mano sinistra. La conversazione procede nella notte, quando tutti sono usciti, nel silenzio rotto soltanto dai pochi passanti, fino alla mattina fresca, in cui le note dicono tutte “cielo”, mentre passa il camioncino che pulisce le strade: e poi continua in lunghe conversazioni sognanti, tirando fuori dalla tastiera trombe e sassofoni da orchestra swing, accordi secchi come pugnali e rimproveri. Un sostare tenace nella parte sinistra, un sostenersi in note basse, larghe e carezzose come velluti che chiudono alla curiosità dell’esterno le proprie visioni, le luminose frasi, il tentennare dei silenzi, il peso dell’emozione vissuta nella notte.

L’Auditorium non è strapieno, e fuori fa sempre caldo. A tratti, il mio ventaglio sottolinea una brezza rispettando il fraseggio. Ad ogni finale, il pubblico accorcia il silenzio teso che precede l’applauso e si butta torrenziale in una lode rumorosa, amorosa direi, giacché tutti siamo lì per lui, per farci sostenere da una musica che ci stava già scritta dentro, anche prima che lui nascesse; anche prima dei dinosauri noi pubblico abbiamo sentito quello che adesso ci fa rivivere. Lui è una figura concentrata che doma quasi immediatamente lo strumento e poi lo piega fino a trasformarlo in un cartone animato che si stira o si accorcia, che rimane sospeso, illuminato da mille colori quale fosse più una nave da crociera dei sentimenti, in pieno festival di fuochi d’artificio, che non un superbo Steinway solitario in mezzo al palco nero. E che rimane solo, pantera addormentata e sazia, quando il pianista se ne va, e ci dimentica mentre ci allontaniamo con le tasche piene di perle e gioielli e pensieri d’amore.

sabato 25 giugno 2005

Turno A - Turno B

Sarà anche perché sto cominciando a bruciarmi, al mare, e a pensare a tutte le cose che mi apre davanti l'estate. Sarà perché le giornate non finiscono e io sto più in giro che a casa. Sarà, sarà, sarà.
Dunque...
"veramente... in questo mondo
Conciòssiacosaquandofosseché...
il quadro non è tondo..."
W.A. Mozart, Don Giovanni

Questo blog va in ferie, o avrà dei post a sgoccioli, fino ad agosto. Leggerò, scriverò, sarò un po' altrove. Per i momentaneamente delusi (!), o che stanno sorridendo, o comunque per chi non lo conoscesse ( ma c'è?) vi mando a leggere da queste parti; se ci fosse, io avrei il suo santino in macchina...

mercoledì 22 giugno 2005

Because the night

Il bello di giugno è che il giorno sembra non finire mai. Si accendono i lampioni gialli, le macchine accendono i fari, tutto è un po’ come nel quadro di Magritte: sotto è notte, ma sopra è giorno. Un cielo blu prussia con chiazzette celesti, che sorride a una città distratta; una luce che rimane soltanto per chi sta atterrando o decollando, per chi fantastica a naso in su come me, per quelli che cenano sui terrazzi, schiamazzando per poi cadere in lunghi silenzi che sanno di attesa, attesa della notte. Sta lì, sopra gli alberi che fanno galleria al lungotevere, scivolando già sugli argini, atomizzata sulle ali dei gabbiani. Mi affaccio alla finestra e aspetto. Ma la notte non dà risposte.

Eccomi, nel silenzio assoluto del calore notturno. Non il rumore di una moto, non una porta che si chiude, non le fabbriche sul fiume delle città industriali che sono rimaste nella mia memoria. La notte è un felino addormentato nel buio, appollaiato sui tubi del gas, negli angoli più alti del soffitto. In parte siamo fratelli: cammino senza accendere le luci, le mani leggermente avanti come una lingua biforcuta, la testa che si muove automaticamente in lento semicerchio, captando. Le coste chiare dei libri fanno una pallida guardia nel corridoio. Lo specchio del bagno è un lago d’acciaio. Apro il frigo, ed è come stare sotto uno scanner giallo; un bicchiere di latte, posare la mano fredda dalla bottiglia alla base del collo e chiudere gli occhi.

Nella notte s’impara cos’è il territorio, qual è lo spazio di ogni oggetto e persona. Recentemente ho sentito qualcuno arretrare, cedendomi faticosamente lo spazio proprio. Ripenso allo sguardo dei suoi occhi. C’è chi non permette l’avvicinamento a meno di un metro. C’è chi mantiene uno spazio liquido intorno. Ognuno di noi, di quanto spazio ha bisogno?. Scoprirò la prossima volta. Non ho dimenticato le mie percezioni, mi dico mentre cammino con il bicchiere in mano, sentendo la città che esce dalla perplessità e comincia a sgranchirsi. Il primo grido di una rondine, sono quasi le 5… l’alba fresca copre di baci una notte altera, riluttante, ma che ride sotto i baffi….

Piccolezze

Due note.
1. Cercando il quadro di Magritte "L'empire des lumières" o "The empire of lights" sul solito Google Immagini, si trova l'immagine linkata su molti blog;

2. Per chi ha una connessione veloce e pazienza, può vedersi la propria città su Google Maps, come citato da Loic e da Luca (l'Italia, su Repubblica).

martedì 21 giugno 2005

Net to be_i'm rich



Anche se di solito più che tisane mi riempio di caffé... non ho potuto resistere a questo Tisanosauro.
Adesso potrei finalmente andarmene in Polinesia...
Il resto, come sempre, da R:ob Grassilli.

sabato 18 giugno 2005

Vie di fuga


il grano non c'è più

L'Ardeatina è una di quelle consolari che ti espellono a gran velocità e senza riguardo alcuno fuori dalla Calcutta del centro. Oggi avevo bisogno di uscire, e non tanto di mare quanto di mari di grano, di erba medica; avevo bisogno di pianura, di allargare lo sguardo sotto un cielo più grande. Ho preso un autobusetto celeste con ambizioni da corriera, e sono andata a zonzo.

Lasciata l'Appia antica ai turisti, ecco gli orticelli, le solite case a tre piani, le pizzerie a taglio, i grandi benzinai solitari sulla strada. Carrozzieri, infissi-e-serrande, baretti, vivai e venditori di materiali da costruzione. La periferia dentro la città, perché sto ancora dentro, finché non passiamo sotto il GRA e ci tuffiamo nei campi arati, con i loro moai rotondi di fieno pressato sotto il sole. Salgono tre bambini con in mano dei girasoli presi in un campetto vicino. Sale una signora con in mano un rosario di plastica rosa. Sale una famiglia indiana e due operai romeni. Scesi davanti al Santuario del Divino Amore, ci disperdiamo. Il tramonto è dolce e lunghissimo. Mentre salgo le scale, vedo una signora che spazza un mare di riso, quello che gli amici hanno buttato in testa ai due novelli sposi, poco tempo prima.
Un'altra la osserva, appoggiata al corrimano delle scale, il ventaglio cadenzato.

- Dovrebbero pagarlo, questo lavoro, gli sposi. Guarda un po', c'è dappertutto. E mo' che fate di questo riso?
- Lo diamo alle galline.
- Ah! Ce ne sarà per una quarantina!!


Il piazzale antistante la vecchia chiesetta è spoglio e battuto dal venticello. Intorno, grano mietuto oppure erba medica, con i suoi toni scuri ed i puntini viola dei fiori. Fattorie abbandonate, con le finestre come occhi vuoti, semisommerse nel giallo. Lontano, la collina di Tivoli. E sopra, cielo infinito: bevo, bevo con gli occhi. Poi, vado a osservare gli exvoto. Non posso non pensare alla fede di queste persone, al loro momento di shock: ho sempre grande rispetto. Nelle foto, macchine reduci da un frontale, camion distrutti, moto accartocciate; e poi stampelle, piccole storie di grandi cadute da alberi o da impalcature o da cavalli. E anche tanti bambini, tanti fiocchi, la speranza compiuta di tante donne. E le magliette sportive, i caschi, le biciclette, gli oggetti lasciati come memoria di se stessi e di un momento solo, un momento di smarrimento enorme, proprio.

Al ritorno, al di qua della finestra c'è azzurro e garze di nuvole strappate: di là le parallele gialle dei campi di girasole. Dentro sono più serena. Una coccinella giovane sta ferma, tutta rossa, vicino al vetro. Non ha certo coscienza del gran viaggio che sta compiendo, verso altre piante ed altri giardini. Io sì, io me ne accorgo, il viaggio c'è sempre: basta sentirlo in noi stessi, basta una strada consolare o l'odore dei fiori di ligustro, che annuncia l'estate. Viaggiare sempre, e sempre imparare...

venerdì 17 giugno 2005

I'm laughing at clouds

Una cosa che mi piace molto - abituata come sono a ben più persistenti, torrenziali, atlantiche piogge - è quando il cielo diventa non nero-nero, piuttosto grigio ardesia, l'aria si elettrizza e si carica di calore e umidità. Il barista che mi porge il caffé, il giornalaio, il pizzaiolo a taglio si sventagliano e fanno i meteorologhi garantendomi un fine settimana di sole e di mare, ammiccando nel frattempo verso il cielo; e pochi minuti dopo viene giù "lo sgrullone". Prima poche gocce dure e rotonde, l'avanguardia impaziente, e poi una pioggia fitta che inzuppa il pedone e acceca l'automobilista e fa filosofeggiare i commercianti, che fanno compagnia ai passanti rifugiati nei portoni o timorosamente appoggiati agli stipiti dei negozi. Poi, tempo dieci minuti, tutto passa. Gli autisti degli autobus mettono il braccio fuori dal finestrino e guidano tranquilli, l'arietta è fresca per tutti, i platani stendono le braccia pulite al cielo, mentre cadono pezzi di corteccia che la pioggia ha strappato e minirovesci dalle foglie ancora scosse.

Uscendo da una libreria-cartoleria, forse una delle ultime della città - dove sono rimasta ad aspettare seduta, sfogliando riviste dedicate ai distributori e ai librai, che la pioggia cessasse - ho pensato a come mi mancano le caffetterie, quei luoghi dove fermarsi a leggere mentre la pioggia passa o il pomeriggio di giugno, il più lungo di tutto l'anno, scivola nella sera. Per una volta il computer era nascosto in un angoletto, non ostentato: i libri mischiati negli scaffali in allegro meltingpot tra nuovi e vecchi scrittori, tra poesia e prosa. Sono entrate alcune persone che hanno comprato fogli A3 di carta bristol o prenotato libri da leggere in vacanza. Avrei gradito un buon thé lapsang ben caldo. La poltroncina di vimini, con un cuscino rosa antico, mi ha tenuta prigioniera, non riuscivo a staccarmici: una poltroncina in una libreria.... come nella Librairie Française... Sono uscita e mi sentivo lavata quanto le facciate dai colori pastello e gli oleandri dei giardinetti, che quando piove imitano quasi perfettamente le lucide foglie degli aranci. Il cielo era di quel celestino pallido che hanno le lenzuola che vendono a poco nei triscount. Ma non importa, mi sono detta, dopo verrà un più bel tramonto. Portavo con me libri, e calore nel cuore...

giovedì 16 giugno 2005

Comunicazione di servizio_8


le peonie

Sono troppo under pressure in questi giorni per postare. Per non deludervi (!) vi rimando a dare un'occhiata qui: ci sono dentro molti spunti che forse in questo momento sono utili.

martedì 14 giugno 2005

Tanto oramai sei mia

A sole, vvié con mme. Quando va a Ostia il sole si appiattisce in spatolate sull'asfalto, le macchine attraversano finissime pareti di luce che per un secondo, adesso, si riflettono negli occhialoni quadrati di di un omone, Steviewonder revisited, con tutte le treccine più maglietta bianca attillatissima, che mangiucchia per scherzo la mano alla sua morosa mentre guida, e lei fa l'addolorata e poi ride e poi fa le smorfie, tutt'e due dietro a me. Alla loro sinistra, invece, un'altro ragazzone con addosso un catenone d'oro sulla maglietta nera legge un giornale sportivo sul volante. E dietro a loro le frecce che indicano: vai, vai. A destra, paralleli alla pineta, i cartelli dai nomi magici: Castelfusano, Torvaianica, parole che mi rotolano nella bocca come caramelle.

Non posso parlare, io adottata, dei sentimenti dei romani per questa cittadina camaleontica, sottomessa d'inverno e trionfatrice d'estate. Quando non ne posso più del rumore cittadino (e ci sono fior di studi sui suoi effetti deleteri) punto la prua verso il mare come un pescatore che azzoppato da un piccolo incidente va verso una pozza vicina anziché verso il lago lontano: verso una Polinesia che non poté finire le elementari. Le sue aiuole bruciate, le palazzine senza storia, il lungomare troppo kitsch (con persino una palma artificiale arancione acceso) tutto coopera a farmi sentire come Schopenhauer trapiantato nell'età del rame. Ma quando finisce la Via del mare, la mia onda portante, e mi ritrovo dispersa nelle stradine senza disegno logico mi prende di colpo il languore, soccombo al muro bianco di luce che mi viene addosso sul lungomare; devo scendere, andare al pontile per odorare il mare e sentirne la voce, e sento che potrei rimanere qui per molti, molti giorni, a veder passare i ragazzi che si portano la morosa sul primo motorino, o i bambini che sbraitano davanti alle megabancarelle di dolciumi e poi vanno su e giù con il monopattino; o le prove, in un teatrino sulla piazza, di un gruppetto di danza che segue un ritmo interiore ancora troppo cadenzato: provano dentro a uno spigoloso silenzio, le dita dei piedi piene di cerotti come medaglie. Potrei restare qui, mi dico, sempre all'aperto; qui dove non c'è limite se non il mare. Ma la città ribolle, mi richiama. Un ritorno nel buio, qualche oasi di luce, una curva e sono sotto i semafori che mi danno la partenza per il circuito cittadino; giù, inseguita, e poi sorpassata dalla risata metallica di una KTM, fino a casa.

domenica 12 giugno 2005

Sognavo di vivere in una biblioteca (o all'Auditorium)


la bibilioteca

Oggi, in preda all'ennesimo attacco di stanchezza, ho vagato per casa senza concludere niente. Fuori, tempo incerto. Dentro, K. Jarrett. E siccome un ex-fanciullo mi ha invitato a questo ballo, eccomi nel girotondo...

Che libri ho ? Risposta facile: di tutto. Mia madre racconta che a tre anni mi fermavo ovunque a "leggere" guardando tutto quello che avesse dentro delle lettere stampate (devo essere stata una bella palla quando lei aveva fretta di arrivare a casa) e non mi sono fermata più. Nella biblioteca c'è molta narrativa americana e sudamericana, saggi relativi al Settecento francese e al Medioevo europeo, libri di tecnica artistica, tragedie greche, libri del Dalai Lama. E dizionari, molti dizionari; dal primo, quello delle medie, a quelli etimologici. Tralascio la sezione dedicata ai fumetti, una passione alla quale ho rinunciato. Il tutto in spagnolo, italiano, francese, catalano.

Che libro ho comperato per ultimo ? Non me lo ricordo più. Credo la seconda parte delle Mémoires di Saint-Simon, spettatore privilegiato del regno di Luigi XIV e della Reggenza. Di solito sfrutto il prestito di libri della biblioteca aziendale, molto ricca. E siccome le mie finanze quelle che sono, faccio una wishlist per il mio compleanno o per Natale, e me li faccio regalare.

Cosa consiglio agli amici ? Dipende. Prima devo conoscere cosa leggono e se qualcosa di quello che ho o che ho letto può arricchirli e aprire un nuovo canale di comunicazione. Comunque, se l'interlocutore ha una buona curiosità culturale, lo mando dritto a leggere Dostoevskj.

Cosa sconsiglio ? Le novità. Un autore deve maturare. In genere succede come con i cd dei gruppetti che suonano un anno (bravi, spesso molto) e poi spariscono nel nulla: la prima volta ci si mette dentro moltissima energia, ed esce spesso un prodotto abbastanza buono. Ma bisogna leggere a ritroso, per me. Prima i terzi o i quarti libri, se l'autore ce la fa a scriverli. Poi il primo.

Chi chiamo in causa ? Ah, la maggior parte di quelli cui potrei invitare ad un altro giro non hanno un blog. Ma - forse Lauretta, il Capitano, Riccardo e Isabella mi vogliono raccontare le loro biblioteche? Se poi qualcuno dei miei lettori vuole partecipare, mi mandi un email e io la posto.

sabato 11 giugno 2005

Allergia e attrazione

Sono un po' presa da questa cosa, lo so; ma visto che non ho molta energia per scrivere, causa allergia e sintomi correlati, lascio qui il link alla wiki di Loïc, perché si parla di blogosfera europea, in questo momento, e dunque anche di quella italiana, a Copenhaguen.

Poi, per quelli che c'erano, o non c'erano ma volevano esserci, ci sono un po' di immagini da Damiano, sotto l'etichetta Lavori.


venerdì 10 giugno 2005

Chi l'ha voluta, 'sta bicicletta?? Pedali!

Mentre aspettavo che arrivasse la motorizzata, sentivo l'arietta fina venire dal Tevere, figlia delle ultime tramontane e temporali dei giorni scorsi. Il palazzone della Città del Gusto soltanto dentro ricorda una vera fabbrica. Fuori prova a sfidare il Gazometro; ma lui, vera architettura industriale, sta dall'altra parte del Tevere e gode nell'osservare i gruppetti che già vanno in giro per bar e pizzerie, ignorando le robe moderne... Ho parcheggiato non molto lontano, a fortuna. Ma dov'è sto blog che si mangia...?

Entrate finalmente. Nella saletta, una volta radunato il gruppetto dei relatori, e con il solito italico ritardo senza apparente motivo, Stefano Bonilli ha presentato l'evento e gli eventati. Partito subito Giuseppe Granieri (che porta degli occhialini minuscoli, i più piccoli che io abbia mai visto, ed è stato corteggiatissimo e intervistatissimo, senza che sembrasse mai muovere se non leggermente qualche muscolo del viso, e soltanto gli occhi: lo nomino affettuosamente Richelieu dei blogger) ha fatto una veloce carrellata sui rapporti umani in rete dalla preistoria ai blog, pulita ed essenziale. Tedeschini Lalli ha parlato, da giornalista professionale, di giornalismo e media e di un nuovo servizio di Feed su Kataweb, creando un certo brusio in sala: informazioni più sostanziose sui blog di Pandemia e di Giuseppe Mayer.
In collegamento audio con la Germania, Alberto di IlForno ha descritto la propria esperienza come blogger di cucina e moderatore-capo di un forum americano specialistico. Mi aspettavo che parlasse di Is my Blog Burning, l'unica esperienza di condivisione tematica sulla cucina e le proprie esperienze gastronomiche che io conosca, e che ben si adattava alla discussione e successivo sviluppo. Ci sarebbe voluto un collegamento in videoconferenza. Poi ha parlato Gino Roncaglia, esperto di linguaggio e scrittura in rete e si vede; da professore universitario con i fiocchi è stato chiarissimo, i concetti e le costruzioni erano limpidi, fatti per essere ricordati e sviluppati dagli studenti: l'unico che si è alzato, forse per abitudine universitaria, ed ha creato con questo gesto un contatto che avvicinava al pubblico: sarei stato a sentirlo per un'ora scolastica filata.
Interventi del pubblico: soltanto un partecipante wikipediano di cui mi è sfuggito il nome, che ha parlato della Wikipedia e delle wiki che potrebbero servire come aggregatori di contenuto, chessoio, in tutte le possibili declinazioni del concetto cibo. Mr. Mayer ha preso la parola per spiegare, unico tra tutti, che stava postando in diretta sul suo blog (lo hanno guardato come a un marziano) commenti sull'evento in corso, ed ha accennato al collaborative blogging, che sicuramente poteva essere un buono spunto, insieme all'esperienza di IMBB, ma non c'era tempo sufficiente. Giulio Perugini, ex-ingegnere e amante del vino che dirige ed anima un forum sul vino più superbuono (ma il sito sembra un'altra cosa...!), quello, per capirci, che costa quanto rifarsi il bagno (lo so, lo so, non tutti) ha parlato di questa esperienza, ma mi è sembrata una cosa a livello più selezionato. Per tutto il tempo Lele, come dire, lateralizzata rispetto all'evento, sfogliava mandando su schermo i blog dei relatori, del pubblico, di cucina, di vino, etc. una cosa molto piacevole. Le telecamere svolazzavano senza sosta, una faticaccia ma bello il risultato sugli schermi...

Intanto erano arrivati amici bloggers (lui già c'era; lui ci ha raggiunto a cena). Mentre cresceva l'attesa per le paste lievite & wine, Bonilli ha anatemizzato ogni pizza e pane che contenesse i famigerati acceleratori della lievitazione, attribuendo loro effetti tumorali (effettivamente la nostra alimentazione industriale non ci aiuta a stare strabene, ma... ). Non che non abbia ragione, ma quelli come me umani, disumani, golem mangiatori di suppli' nelle pizzerie a taglio e non per questo meno buongustai o ricettivi nei cinque sensi non vogliono sentire che la fiorentina può fare male perché nelle sue zone bruciate dalla brace si nasconde il nemico.... Finalmente, al piano di sotto, dopo immani fatiche (ero stanca e giravo con due piatti in attesa di capire DA DOVE uscisse la benedetta pizza) sono riuscita, nella calca di affamati, a prendere tre pezzi della lievita, che ho condiviso. Abbiamo anche salutato il GG in un millisecondo e poi ognuno di noi ha preso l'asfalto a modo suo, chi per il centro, chi come me per i lungoteveri semivuoti (per i malati di traffico il lungotevere di giovedì sera è come una goduriosa Vallelunga: velocità sostenuta, niente doppie file, né furgoncini, autobus, motorini; e se prendi l'onda dei semafori verdi...) per andare a cena insieme a PizzaRé; insomma, abbiamo mangiato e parlato di blog e di musica e di progetti; e io almeno sono stata molto bene. Poi è arrivata mezzanotte, e nell'ansia di evitare che la mia macchina si trasformasse in zucca all'ultimo rintocco, ho salutato e baciato e me ne sono andata. Ma è una metafora. E' che ho il panico di trovare il garage chiuso e i topolini fuori...

La sindrome di Leporello

Scrivo più tardi sul convegno di ieri, in cui tutto abbiamo fatto tranne che mangiarci i blog (piuttosto un'ottima pizza). Ho troppi piatti da lavare...

Intanto, i curiosi leggano dall'unico che ha sfruttato appieno le tecnologie a disposizione...

martedì 7 giugno 2005

Una citazione

Disteso al buio, imprecando, ho recitato a voce alta il numero da chiamare in caso d’infarto.

“Siete in linea con il Montreal General Hospital. Se disponete di un apparecchio con toni in multifrequenza, e conoscete il numero dell’interno che vi interessa, digitatelo adesso. Altrimenti digitate 17 per il servizio nella lingua dei maudits anglais, o 12 per il servizio en français, il meraviglioso idioma della nostra comunità oppressa”.

Per il servizio ambulanze, digitare 21.
“Servizio ambulanze. Vi preghiamo di rimanere in linea. L’operatore risponderà appena finita la mano di strip-poker. Vi auguriamo buona giornata”.

Musica di cortesia, il Requiem di Mozart.


Mordecai Richler, La versione di Barney

Comunicazione timida

Come dire? Vedermi pubblicata mi fa una certa impressione. Come fossi un bambino che comincia a camminare e si allontana verso l'acqua del mare. La madre si avvicina e lo sostiene. Il bambino sente il freddo dell'acqua, il suo canto, l'odore del salmastro, la sua carezza sui piedini e le caviglie e tante altre cose che rimangono dentro ai nostri sensi. Riconosce una parte di mondo, ed il suo tempo scorre in questo riconoscere, continuo.

Un bambino davanti a un grande mare. Crescerò.

lunedì 6 giugno 2005

La chimica necessaria alla combustione

Togliere dalle spalle il giacchino bianco traforato; un gesto che può essere normale, ma non oggi, non adesso, mentre entro nella macchina e metto forte Regina Spektor, la sua voce masticata, aggredita, sarcastica. In cielo una crosta di sole resta malignamente sotto le nuvole strappate. Il giacchino conserva resti di dita leggere, intenzionate a null'altro che a toccare per prendere e conservare un mio calore, e per questo io le sento più intensamente, perché rimaste sulle spalle come una domanda. Canto a squarciagola. Corriamo tutti tra i motorini. E no, non posso fare un inversione a U e tornare indietro per provare se lo story board che mi sto costruendo - e che va velocissimo dopo la prima immagine, un semplice dito che preme un semplice campanello d'ottone - può essere adattato a giorni successivi.

Fermo tra due macchine parcheggiate, un ragazzo vestito con maglietta e shorts di cotone bianco si stiracchia prendendosi un immensità di spazio. Mi guarda mentre passo, con sguardo di felino soddisfatto, ingozzato di troppa carne. O forse sono io che sento il calore aleggiare, mentre procedo nel tritacarne che è PortaMaggiore, limitata dietro dalle mura ingrigite e davanti dallo scorrere di un treno che schiaccia dal basso il cielo sofferente, già parcellizzato dalle linee elettriche sopra i binari, malato di una velatura che a Roma non si risolve in temporale, ma in accumulo di elettricità sulla pelle, sulle articolazioni, sulla punta delle dita.

Come se soffocassi di te, come se di te fossi stracolma: ma non è così. Prima che il semaforo diventi verde e io deva girare definitivamente per entrare nel parcheggio e nel quotidiano, prendo il giacchino per odorarlo. Ma so che è un gesto teatrale, qualcosa che poi devo scrivere per giustificarmi la contenzione di una febbre, per provare a spiegare perché, invece, non l'ho morso...

sabato 4 giugno 2005

People are just people like you


Venditore di cocco

L’Aurelia, che tanto lontano arriva, mi sfugge sempre; è una porta della città che si fa sempre labirinto, le strade s’intorcinano intorno come evitandola. Ma finalmente anch’io vado nel mixer con tutte le altre cellule entrate nel separatore e da lui sparate verso il mare, tutte marchiate da colori estivi e pelle lucida di olio solare, sui motorini che zigzagano in mezzo al flusso di latta per sparire finalmente a destra, verso Fregene. Noi grossi organismi di latta andiamo avanti in mezzo ai campi di grano pronti per la mietitura, verso Ladispoli, e oltre.

Le case stanno lì come cubetti di zucchero colorato. Le imposte ancora chiuse, non una maglietta stesa sulle ringhiere. Il mare, là sotto, le ignora e loro a lui: quest’inverno hanno litigato, gelose del suo pavoneggiarsi nei tramonti con i vestiti dai riflessi più segreti. Anche gli abitanti del minuscolo stabilimento stanno lì come fossero dal parrucchiere o al parco; e ciò dimostra che sono ladispolini, abbandonati sulle sdraio a godersi questo sole velato, questi brontolii di un mare che ancora si difende con le meduse, timoroso della vera calca estiva. I miei piedi vanno su braci di sabbia nera verso l’acqua. Troppo abituata allo schiaffo gelato del mio Atlantico, la sento tiepida; il mare è grasso, agita tutti i suoi rotoli, la visione dei ciottoli levigati del fondo è torbida, non ospitale.

Dormicchiare, è così bello stare così, lucertolati, con sopra un venticello che butta ombrelli e costringe le mamme a tirare fuori le magliette per i pargoli; dormire con il morso di un sole vampiro sulle spalle, e lo sventolare delle pagine del giornale come unico rumore, oltre al mare. Il chioschetto minuscolo, dove persino il poster dei gelati e la lista dei prezzi sono piccoli, sta come una bocca aperta sulla sabbia; eccomi, un caffè delizioso preso a piedi scalzi e riparto, a zonzo, passando per le strade della bonifica di Maccarese con le sue fattorie rosse, non seguendo i cartelli ma l’istinto che mi porta sempre sotto l’aeroporto, per strade bordate di terre appena smosse i cui pezzi argillosi vorrei stringere nelle mani come quando ero piccola; strade i cui nomi sono miei, Via del Decollo, Curva della Pista di Atterraggio, Strada della Seconda Pista, Rettilineo dei Depositi di Combustibile. Due giri e sono sotto la ferrovia, gli svincoli. E’ il ritorno dal separatore: abbiamo lasciato parti preziose al mare, e torniamo sul lungo tubo aperto della superstrada, avvicinandoci al corpo cittadino, entrando nelle vene porte, irrorando i quartieri senza fermarci mai.

Schiaccia, mi dico, vai, schiaccia l’acceleratore, i bottoni giusti o no, i tasti del tuo pianoforte. Da qualche parte nella corazza c’è la fessura, lì dove rimase il sentimento assopito, dove come al mare le meduse difendono dalle emozioni devastanti. Schiaccia per aprire, per amare di nuovo, per non più respirare, per essere viva.

venerdì 3 giugno 2005

Continua...

Il blog estivo, si sa, meglio breve. Volevo ricapitolare i vari materiali su Nuovo e Utile che i vari protagonisti e assistenti hanno disseminato per la rete, ma lo ha fatto meglio, e intelligentemente, lui. Anche se in inglese i link tematici li contiene tutti.

Secondo me un'idea principale ha aleggiato sul Neuweb riguardo i blog, che mi ha colpito: il considerare i bloggers come appartenenti e creatori della "parte abitata della rete (G. Granieri, S. Maistrello)" rispetto al resto, i centri commerciali, le autostrade-e-autogrill informatici, gli specialisti della manutenzione virtuale etc, etc.

I blog sono luoghi della rete dove vive ed è conservato il sentimento umano.

Oppure?

Comunicazione di servizio_7

Soltanto per dire che il 9 giugno, dopo Il blog si mangia?, un gruppetto ormai aguerrito di bloggers capitolini andrà a mangiare (ovvio, direte voi) 'na pizza, 'na bistecchina co' du' fojje d'insalata..o, per i non sanguigni, verdure grigliate o la scamorzina o quello che vi pare. Organizzatore e factotum Damiano, la sua mail per chi si volesse aggiungere a cotanto tripudio (bisogna essere esatti nel prenotare, per rispetto ai cuochi, camerieri e addetti a la plonge).

mercoledì 1 giugno 2005

Net to be_ e non mi stanco

Ci sono dei periodi di fiacca, ogni tanto. Prima perché è-Natale, poi perché a-Pasqua-me-ne-vado -fuori, e adesso perché si avvicina l'estate e non siamo pronti. White è temporaneamente inarrivabile. Il Capitano è andato a farsi un giro in barca, mi sembra di aver sentito le voci e le risate di belle polinesiane; la sciura Brambilla invece ha mosso le antenne per annunciare un viaggio galattico. Mr. Garbaland omaggia la pizza con la mortadella (che io mangio un giorno sì e due pure).

Io, a finestroni aperti, zappo alla ricerca di un film noir perché ogni cosa che voglio postare si dissolve nella calura. Su tutto il ronzio degli aerei che scendono su Ciampino, altro che ventilatori.

Ma non c'è fiacca per R:ob, l'inclito, il mirabile, il supercalifragilistico: ecco la 500! Andate, dico, a fargli gli auguri...

Interiorismi

Il mio silenzio produce da solo cambiamenti sensibili all’interno di quelli con cui vengo a contatto. Forse la cosa più mia, più riconoscibile; nel mio silenzio tutto, l’intimità ed i gesti, le parole che veramente dicono, l’affetto. Non tutti hanno accesso alle pause. Perché là dentro ci sono le parole che l’altro non pronuncia ma conosce benissimo: io fungo da specchio, e il tempo che ci viene sistematicamente tolto io lo riconsegno.

Voglio sempre rallentare, dentro. Nelle conversazioni ci sono intermezzi che hanno il delicato suono del tuono. Come dita che calano sulle corde di una chitarra con piglio predatore, facendo del male, strappando la metafora elettrica. Ascolto intensamente il vero o il falso, ma anche i miliardi di sfumature e tutti gli umani motivi. Sento queste linee spezzate tremare negli angoli delle labbra, che alla fine le ingoiano: in silenzio io le accolgo, le dissolvo nel brusio del presente. E per un secondo le voci tremano, pulite.

Qualche volta il mio silenzio è coltello, lo scalpitare dell’animale sotto il tafano. Molte volte ciò che conservo si rimescola in una pozione velenosa, la notte mi entra dentro come un acquazzone; erro confusa, con i sensi cortocircuitati. Mi nutro di stupore e caffè in parti uguali. Chi mi chiama non mi riconosce. Posso soltanto dormire ed arrendermi al mutare della luce e dell’ombra. Il silenzio è un bisogno dello spirito, ma è anche il suo confine. Tutto passa…